La storia di Chiara Ferragni sembra non esaurirsi mai perché, non appena tenta di darci uno scorcio di normalità, ecco che si apre un nuovo caso. Solo due giorni fa l’influencer era riapparsa quasi come se nulla fosse, e oggi veniamo a sapere che Coca Cola si è defilata da un contratto che prevedeva uno spot con la moglie di Fedez, a causa di presunte violazioni di accordi contrattuali. Abbiamo intervistato il pubblicitario Massimo Guastini per chiedergli delle previsioni sul futuro (e delle stime di perdita del recente passato e del presente) della donna più chiacchierata d'Italia.
Due giorni fa Chiara Ferragni è tornata sui social, questa volta truccata e sistemata. Ha capito che lo stile “desperate housewive” non funzionava?
È riapparsa dopo un silenzio durato oltre due settimane. È un errore gravissimo per una simile crisi reputazionale e il non fare nulla è la cosa peggiore. Evidentemente è stata mal consigliata. Lo stesso messaggio di “scuse in gramaglie” era risultato del tutto inadeguato. Non solo per il registro esageratamente contrito, ma anche per le argomentazioni debolissime e poco credibili delle sue scuse. Non sono sembrate vere scuse le sue. Poi, come se niente fosse, il 3 gennaio torna e posta una story Instagram, con un inopportuno stile da adolescente appena rientrata dalle vacanze trascorse a Courmayeur: “mi siete mancati, con un cuoricino. Come state?”.
Secondo lei c’è stata una gestione corretta della crisi?
Non erano preparati e questo un po’ mi sorprende. Chiara Ferragni non è solo un essere umano, è un brand. E da ormai oltre dieci anni i brand hanno imparato che la questione non è se dovranno affrontare una crisi reputazionale ma quando e quindi prendono le adeguate contromisure. In genere si sceglie un esperto di Crisis Management, si individuano i potenziali scenari di crisi e le strategie di gestione. Prima che la crisi si verifichi. Il team di comunicazione che gestisce la crisi non dovrebbe essere lo stesso che l’ha determinata. Non per una questione di “colpe”. Sono due attitudini e ruoli diversi. Se mi perdoni il paragone è come accade nel football americano: i giocatori offensivi della squadra che ha perso la palla lasciano il campo di gioco e sono sostituiti dai giocatori difensivi.
La Ferragni ha fatto un box domande senza poi però rispondere pubblicamente a nessuno, che senso aveva?
Nessuno. È evidente che non erano preparati e che non si sono ancora organizzati. Nella gestione delle crisi reputazionali non si pongono domande puerili. Si “ascolta” e si danno risposte concrete.
La scelta di fare una storia e non un post è stato dettato dal fatto che non appena lei o Fedez postano vengono ricoperti di insulti?
Ritengo di sì. E il modo in cui si è mosso il “brand Fedez” nel suo profilo Instagram mi ha rafforzato la sensazione che non fossero preparati alla gestione di una crisi reputazionale. Di conseguenza i tre post da festività natalizie, pubblicati durante il silenzio della moglie Chiara, sono stati più dannosi che utili. Non avrebbe dovuto postare immagini dei suoi figli, per esempio.
Perché? Lo pensano in molti
Perché è inopportuno. Sono belli, ricchi e sani fortunatamente. Ma i loro genitori sono in questo momento percepiti come quelli che si sono intascati un milione di euro, raccontando che i soldi sarebbero serviti a “esplorare nuove strade per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing”. Tra l’altro, la storia è venuta fuori a ridosso del Natale e si lega a un dolce che è simbolo di questa festività: il pandoro. Non sorprende che uno dei commenti meno aggressivi sia stato questo: “Nel momento peggiore di massacro mediatico, il primo post è una serie di foto dei figli. Praticamente usati come scudo umano mediatico”.
Come dovrà muoversi ora Chiara Ferragni?
Io non sono un esperto di Crisis Management e non mi posso vendere come tale perché sarebbe come vendere fuffa. Se fossi stato a capo della comunicazione avrei suggerito di chiamare immediatamente il Professor Luca Poma, probabilmente il professionista più valido nel gestire questo tipo di situazioni e con grande umiltà mi sarei messo a sua disposizione.
C'è chi dice che deve sparire e chi invece che dovrebbe continuare come se nulla fosse. Lei di che partito è?
Entrambe le posizioni sono sbagliate, secondo me. Si tratta di gestire, senza perdere altro tempo, senza sbagliare le prossime mosse. Tenendo presente che i “marchi” sono in realtà potenzialmente tre: “Chiara Ferragni”, “Fedez” e i “Ferragnez”. E questo a mio avviso offre delle buone opportunità di uscire dalla crisi, se inizieranno a gestirla correttamente. Chiara Ferragni è riapparsa per parlare solo alla sua community, come se si fosse chiusa in una bolla. Quando in realtà quanto accaduto interessa l’opinione pubblica, non solo nazionale. Non può pensare di continuare a parlare solo con chi “la ama a prescindere”. Lasci perdere gli hater ma tenga ben presente tutta l’area dei “moderatamente a favore e moderatamente a sfavore”. È lì che si gioca la partita.
La sua immagine verrà mai veramente riabilitata?
Non ho la sfera di cristallo. Posso però dirti cosa può giocare a suo favore: Chiara Ferragni è un “love brand” e i love brand si tende a perdonarli, perché noi esseri umani odiamo la “dissonanza cognitiva”: ci comporta un dispendio energetico. In passato love brand come Nutella e Volkswagen hanno attraversato forti turbolenze reputazionali, rispettivamente per la questione olio di palma e per il “dieselgate”. Su Instagram Nutella ha 1.7 milioni di follower. Chiara Ferragni ne ha 29.5 e Fedez 14.7 milioni. A chi venderà questa sua community ora? Quali marchi italiani e internazionali compreranno la sua community? Le sfilate di moda imminenti saranno la cartina di tornasole, il primo banco di prova. Quale stilista la inviterà? Ma in ogni caso ci saranno altri banchi di prova. Sarà una partita lunga, purché inizino a giocare sul serio.
C’è anche un’altra novità: Coca Cola ha sospeso lo spot che aveva previsto con Chiara Ferragni. Cosa comporterà questo anche in termini economici sul lungo periodo?
Coca Cola non ha inventato il Babbo Natale di colore rosso come si legge spesso online, ma già a partire dagli anni ‘30 del novecento ha diffuso attraverso le sue campagne pubblicitarie l’immagine di Santa Klaus per come la conosciamo oggi. Inevitabile, quindi, che Coca Cola abbia cancellato la collaborazione prevista con Chiara Ferragni: uno spot che sarebbe dovuto uscire a fine gennaio in vista del Festival di Sanremo. Se Coca Cola viene associato a Babbo Natale, Chiara Ferragni in questo momento è percepita da una parte dell’opinione pubblica come una sorta di “Signora Scrooge” che ha intascato un milione di euro “sottraendolo” ai bambini malati di un raro tumore. Non sto dicendo che l’abbia fatto, sto descrivendo una percezione. Ed è inevitabile che nelle prossime settimane e mesi, saltino altri contratti e vengano “congelate” delle collaborazioni previste per il 2024. Parliamo di un danno di diversi milioni di euro che credo che si aggiri intorno ai 20 milioni, facendo un ragionamento sui danni preventivabili, anche se è difficile fare una stima esatta, ma stiamo sicuramente parlando di tanti milioni di euro.
C'era modo di evitare l'abbandono da parte di Coca Cola?
No, era un abbandono inevitabile e questo brand è il primo di una lunga lista. Non so quali siano esattamente i contratti tra Chiara Ferragni e altri marchi, ma è più che presumibile che nei prossimi mesi verranno cancellati. I prossimi 12 mesi sono quelli in cui lei dovrà lavorare sulla ricostruzione della propria affidabilità e credibilità reputazionale e credo che sia inopportuno farlo utilizzando i figli. È sempre inopportuno utilizzarli, ma a maggior ragione, in questo momento, c’è bisogno di cautela, la stessa che sto utilizzando io nell'analizzare non solo un'azienda, ma anche una madre con due bambini. Vorrei però concludere con una riflessione più ampia, che vada al di là del caso Ferragni, che mi interessa molto di più perché riguarda il futuro dei nostri bambini.
Ovvero?
Anni fa mettevo in guardia i miei colleghi e l’opinione pubblica dall’inquinamento cognitivo che la pubblicità poteva determinare. La situazione con il decollo dei social media si è aggravata. L’inquinamento cognitivo che noi pubblicitari produciamo è infinitamente più piccolo rispetto a quello generato oggi dai mega influencer. È più semplice per l’essere umano individuare la “finzione” pubblicitaria, anche perché confinata in riconoscibili spazi tabellari. L’esistenza degli influencer, invece, sembra vera anche se non lo è, e propone come veri dei modelli di vita irraggiungibili. L’incremento dei disturbi mentali, specie nelle generazioni più giovani, è imputabile in gran parte agli stili di vita inarrivabili rappresentati sui social network. È questa la vera partita che dobbiamo affrontare tutti. E se fossi nei panni dei “Ferragnez” ne terrei conto.