C’è un’Europa che sogna ancora l’integrazione come una fiaba. Un po’ come quelle scritte da bambini che non hanno mai visto il mondo fuori dalla finestra. È l’Europa che crede che basti cambiare la lingua di un cartello stradale per fare di uno straniero un cittadino. Che crede che le religioni siano tutte uguali, che le culture siano intercambiabili come i bulloni di un meccanismo perfetto. E che ogni differenza si sciolga nella grande zuppa della tolleranza. Poi però c’è la realtà. E quella non ha bisogno di manifesti, né di proclami. Si presenta da sola, silenziosa ma determinata. Oggi, in molte città europee, prende la forma di liste civiche, di giovani candidati musulmani, di voti conquistati in quartieri dove il multiculturalismo ha ceduto il passo al monocolore etnico. E non è un problema religioso, ma politico. E serio. Perché chi ama davvero la libertà, la democrazia, i diritti delle donne e la separazione tra Stato e religione – chi ama davvero l’Europa – dovrebbe essere il primo a difenderla. Anche da sé stessa.

Sharia 2.0?
In Francia, il Ministero dell’Interno ha ricevuto un rapporto allarmante dai servizi secondo cui le frange più radicali del movimento islamista stanno cercando di introdurre progressivamente norme ispirate alla sharia. Non con le bombe, ma con la pazienza. Con la strategia. Con la penetrazione graduale in organismi scolastici, associazioni culturali, enti pubblici. “Islamismo silenzioso”, lo chiamano. Lo stesso avviene in Germania, e in modo meno visibile, anche in Italia. Intanto in Inghilterra, alle ultime elezioni locali, in roccaforti laburiste si sono imposti candidati musulmani indipendenti. La più giovane, Maheen Kamran, ha vinto a 18 anni, portando con sé idee che fanno discutere: palestre separate per uomini e donne, spazi pubblici “non misti”. Qualcuno applaude alla diversità. Altri si domandano dove si ferma l’inclusione e dove comincia l’imposizione.
Il paradosso europeo
Sia chiaro, questo non è un attacco all’Islam nella sua dimensione religiosa. Chi scrive crede che ogni fede autentica sia degna di rispetto. Chi crede con sincerità, chi si inginocchia davvero davanti a Dio, merita ascolto, qualunque sia il suo nome per il Divino. Il problema non è la religione. Il problema è il suo uso politico, ideologico, strategico. Il problema è quando la fede diventa leva di potere, e la tolleranza diventa strumento di conquista. Ma c’è qualcosa di ancora più profondo in gioco. Perché la politica segue sempre il pensiero. E il pensiero che ha costruito l’Occidente è il pensiero ebraico-cristiano, cioè l’idea che l’essere umano sia creato a immagine e somiglianza di Dio. Questa visione ha fondato l’idea stessa di dignità, di libertà, di responsabilità individuale. Ha prodotto la democrazia, il diritto, la scienza, l’arte. L’Occidente non è solo una geografia, è un’antropologia. Ora, la domanda è inevitabile: può questo delicato costrutto – spirituale, filosofico, politico – reggere l’impatto con un’antropologia diversa, quella islamica tradizionale, che considera l’uomo non come immagine di Dio, ma come essere sottomesso, ‘muslim’, appunto? Una cultura dove la legge religiosa viene prima della legge civile, e dove il concetto di libertà è subordinato all’obbedienza?
Una laicità nata da dentro
E c’è un’altra domanda collegata e conseguente che l’Europa non può più permettersi di eludere: l’Islam, in Europa, può diventare laico? Cioè, può accettare che al di sopra del Corano ci sia una legge civile valida per tutti – musulmani e non – e che la sfera pubblica sia regolata non dalla religione, ma dal diritto comune? Perché la laicità dello Stato, così come la conosciamo oggi, è una conquista tutta europea. Non è piovuta dal cielo, è il frutto di secoli di tensioni interne al cristianesimo. Guerre fra Papi e imperatori. Scontri fra guelfi e ghibellini. Monarchie che rivendicavano autonomia dal potere ecclesiastico. Ed è proprio da quei conflitti che è nato uno spazio civile separato, nel quale ognuno può credere, non credere o credere diversamente, ma sotto un'unica legge. Ora bisogna capire se questa conquista può essere condivisa da tutti, oppure no. E sulla base di questa risposta – non ideologica, ma concreta – decidere quale azione prendere.

Gli ingenui e i furbi
I partiti progressisti hanno per decenni visto nell’immigrazione musulmana una riserva di voti. In Italia la sinistra continua a inserire musulmani nelle proprie schiere convinta che continueranno a combattere per loro la battaglia dei diritti delle donne e la guerra LGBTQ. E per un po’ ha funzionato. Ma oggi quelle stesse comunità cominciano a camminare da sole. Si organizzano, fanno politica in proprio, sfidano i loro ex alleati. È la legge naturale delle cose, chi ha numeri, cultura e obiettivi, prima o poi vuole il comando. Peccato che l’Europa, intanto, si sia dimenticata di avere un’identità. O forse non ha più il coraggio di difenderla. Così succede che nelle scuole si tollerino imposizioni religiose mascherate da richieste culturali. Che nei quartieri si accetti la legge del clan. Che nei tribunali si invochi il rispetto di costumi che poco hanno a che fare con l’uguaglianza tra i sessi o la libertà individuale. E chi protesta? Islamofobo. Razzista. Reazionario.
Una scelta da fare
L’Europa non può più permettersi il lusso dell’ingenuità. Deve scegliere, o ritrova la propria anima, oppure diventerà terra di nessuno, dove ogni cultura si impone su quella comune. E a vincere, come sempre, sarà la più determinata. Non si tratta di chiudere le porte, ma di sapere chi siamo prima di aprirle. Non si tratta di respingere la religione, ma di pretendere che sia vissuta come fatto personale e spirituale, non come leva politica. Non si tratta di respingere l’Islam, ma di respingere qualsiasi forma – anche cristiana, se necessario – che pretenda di sostituire la democrazia con la teocrazia. Chi ama davvero le religioni, le vuole libere. Non strumentalizzate. Non imposte. Non usate come vessilli per abbattere ciò che faticosamente abbiamo costruito. L'Europa, oggi, ha bisogno di identità. Di limiti. Di coraggio. E anche, lasciatemelo dire, di una nuova laicità. Non quella ostile al sacro, ma quella che lo difende da chi vuole usarlo come arma. Perché l’Europa non è in pericolo perché ci sono musulmani. Ma perché non ci sono più europei. O almeno, non abbastanza pronti a esserlo fino in fondo.
