Il nuovo ambassador delle olimpiadi di Cortina sarà Chico, il cane influencer da un milione e mezzo di followers tra Instagram e TikTok. Chissà che il suo bel musetto carino non riesca a sopperire alla gestione canina del grande evento, dopo la figuraccia della pista di bob mancante e la carenza di infrastrutture: alcune delle strade che sono in progetto di riqualificazione per le olimpiadi, infatti, saranno pronte soltanto a gare concluse. Ma basta parlare delle solite cose brutte, all’italiana, della burocrazia infinita e degli appalti inconcludenti: andiamo a consolarci con i video del cagnolino Chico e del suo papà. Il concept è semplice e collaudato: c’è l’umano che tratta il cagnolino come un umano, e il cagnolino parla per sottotitoli come succedeva al bebè doppiato da Paolo Villaggio in Senti chi parla, il film del 1989 con John Travolta e Kirstie Alley, o come le voci dei filmati di Paperissima. Apriamo un filmato a caso. È Capodanno, il papà stappa una bottiglia d’acqua, il cane vuole l’acqua frizzante. Bacini in bocca. Il cane gioca a palla. Il cane è in televisione con la Vanoni e gioca con la cagnolina della cantante, probabilmente vorrebbe anche salirle in groppa ma questo non si vede. Chico in canoa, Chico in montagna. Chico ha il farfallino, e dice al papà che staranno sempre insieme. Auguri. Buon anno. Forse andava meglio prima. Scorriamo ancora un po’ il profilo di questo cane influencer. Se lo seguono così tante persone, un motivo ci sarà. Oh, un libro. Bene, io adoro leggere. Un libro scritto da un cane, edito da Rizzoli. Non è certo la prima volta che succede. Faccio subito una ricerca. Figo, c’è l'anteprima su Google Books. Titolo: Ciao sono Chico. Le mie avventure scritte da me con l'aiuto di papà. Mie, scritte da me. Il mio prof delle medie me lo avrebbe segnato in rosso, ma che fai ti metti a fare il grammar nazi con un cane? Apriamo. Oh, che carino, un libro scritto in prima persona come se vedessimo con gli occhi del cane. Mamma mia, adorabile, chiama sempre i suoi padroni mamma e papà, e sbaglia anche le parole come un vero bebè. “Disingretato” al posto di “disintegrato”: sento puzza di capolavoro. Più disegnini che parole, ok, piacerà ai bambini, tutto bello, tutto perfetto, idea carina, chi sono io per sindacare. Non fosse per il fatto che il vizio tutto contemporaneo di pensare i cani come figli è la forma peggiore di maltrattamento che gli si possa riservare.
Se si sente il bisogno di umanizzare il proprio cane, lo si vuole privare della natura che gli appartiene. Se trattare bene il cane si traduce in volerlo trattare come un uomo, allora si collega il suo essere cane a una natura in qualche modo inferiore alla nostra. Pensarlo come un bebè, o come un figlio, vuol dire che non ci si accontenta del fatto che sia soltanto un cane, come se a un semplice cane non si potesse riservare lo stesso amore che si prova per un figlio, il ché, per inciso, è biologicamente ovvio, almeno finché il cane non si decida a continuare la specie umana. Si afferma una cosa, implicando il suo esatto contrario. Da qui si arriva poi ai parossismi dell’antropomorfizzazione, per cui si vedono i cani nel passeggino tra le corsie dei supermercati, i corsi di nuoto per labrador e i centri estetici per le barboncine. Avrà mica ragione quella canzone di Willie Peyote, la quale diceva molto baylianamente che i cani son meglio delle persone che dicono che i cani son meglio delle persone? Quello che sto dicendo non è anti-animalista. È l’animalismo portato all’esagerazione a essere contro gli animali. Ma ascoltiamo Plutarco, il testimone più antico del pensiero animalista, il primo vegetariano autorevole della storia, il precursore della filosofia del cruelty free. Bene, sentite come Plutarco apriva la biografia di Pericle: “Si racconta di come Cesare, vedendo girare per Roma alcuni ricchi forestieri che tenevano in braccio dei cagnolini e delle scimmiette, coprendoli di moine, domandò se al loro paese le donne non mettevano al mondo bambini”. Quanto vorrei avere dei fuori onda del cane Chico, per ascoltare i suoi veri pensieri, mentre il suo papà e la sua mamma lo costringono a fare e ripetere filmati, per poi lasciarlo a dormire nella cuccia e a rompersi le palline pelosine mentre loro montano tutto il materiale, e registrano le voci, e fanno postproduzione e tutto il resto. Suonerebbero così. Eccolo che arriva. Merda, ha di nuovo in mano il telefono. È ora. Un'altra volta. Non ce la faccio più. Lo azzanno? Stupido despota. Potessi, lo farei. Spero che non mi costringa di nuovo a mettere il farfallino. Lo odio. Cosa mi farà fare, ora? I salti, le capriole? Tra un po' è carnevale, che mi vesta in qualche modo figo, almeno. Lo sbrano? No. Gli faccio la pipì sul tappeto del salotto adesso, vedrai. Non mi può portare fuori come tutte le persone normali? Io vorrei solo annusare culi e riportare bastoni, non fare tutte ste cretinate. Che finisca in fretta, tutta questa storia. La celebrità non è cosa mia.