Dopo aver ribadito l’appoggio all’Ucraina nel conflitto contro la Russia, Stati Uniti e Nato si aspettano che Roma faccia un ulteriore passo in avanti recidendo gli ultimi legami degni di nota stretti con la Repubblica Popolare Cinese, ormai rivale sistemico di Washington. Questi legami coincidono con l’adesione di Roma alla Belt and Road Initiative (Bri), ultimo retaggio del governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte. La firma, nero su bianco, del Memorandum of Understangin (MoU) con Pechino, risalente al 2019, ha reso l’Italia il primo (e unico) Paese del G7 ad aver aderito all’iniziativa lanciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013. Stiamo parlando, in sostanza, di un maxi piano infrastrutturale che, nelle intenzioni del Dragone, avrebbe dovuto collegare la Cina ai mercati di Asia, Africa ed Europa. Oggi il progetto si è in parte arenato a causa della pandemia di Covid-19 e per via delle tensioni geopolitiche internazionali, ma Xi non ha affatto intenzione di mollare la presa. A costo, come di fatto è accaduto, di ridimensionare le aspettative iniziali, puntando più sui Paesi in via di sviluppo che non sui ricchi mercati europei.
L’Italia fa tuttavia gola a Pechino, se non altro dal punto di vista dell’immagine, ed è per questo il Dragone vorrebbe proseguire la luna di miele – seppur fin qui molto simbolica per svariate ragioni – con Roma. Se il governo Draghi ha sostanzialmente vanificato le premesse diplomatiche messe sul tavolo dal suo predecessore, l’esecutivo di Giorgia Meloni si trova adesso a metà del guado. La leader di Fratelli d’Italia (FdI) ha due possibilità. La prima: sferrare il colpo decisivo alla Bri. In tal caso, l’Italia dovrà comunicare alla Cina la volontà di non rinnovare l’intesa – che prevede un’estensione automatica di altri cinque anni a meno che nessuno non sollevi obiezioni – entro tre mesi dal rinnovo automatico. La seconda possibilità, al contrario, prevede un nulla di fatto, e quindi il proseguimento del MoU per altri cinque anni. In entrambe le circostanze, il mese da cerchiare di rosso sul calendario coincide con il marzo 2024. Prima di questa data, Roma dovrà sfilarsi o meno dalla Via della Seta.
Nel frattempo al Concertone del primo maggio il fisico pacifista Carlo Rovelli ha attaccato il ministro della difesa Guido Crosetto: "È stato presidente della federazione dei costruttori di armi, ma il ministero della Difesa deve servire per difenderci dalla guerra, non per fare i piazzisti di strumenti di morte. Tutti dicono pace, ma aggiungono che bisogna vincere per fare la pace. Volere la pace dopo la vittoria vuol dire volere la guerra". E sull'esecutivo ha aggiunto: "Con le testate nucleari puntate addosso, il governo italiano sta decidendo di mandare una portaerei (l'ammiraglia Cavour che dovrebbe arrivare nell'Indo-Pacifico, ndr) a fare i galletti davanti alla Cina: queste sono le scelte che rischiano di distruggere le nostre vite". Crosetto ha rigettato le accuse di "piazzista di morte", definendole ridicole, e ha invitato Rovelli a pranzo per chiarire.
Tornando al tema generale, qualora Meloni volesse salutare la Bri il governo dovrebbe adottare una exit strategy che non alteri troppo la Cina. Anche perché Pechino, oltre a perdere la faccia, perderebbe un membro rilevante del suo progetto. In un frangete del genere, inoltre, è lecito supporre una qualche reazione da parte di Xi. Ricordiamo che il volume degli scambi commerciali tra Cina e Italia nel 2022 ha superato quota 77,88 miliardi di dollari, con una crescita del 5,4% su base annua. Dai dati dell’Amministrazione generale delle Dogane della Repubblica popolare cinese, inoltre, emerge che il volume delle esportazioni cinesi in Italia ha sfiorato i 50,90 miliardi di dollari, con un aumento del 16,8% su base annua, mentre quello delle importazioni del “Made in Italy” oltre la Muraglia ha superato i 26,97 miliardi. Numeri rilevanti che, in caso di dietrofront italiano dalla Bri, potrebbero essere compromessi da un irrigidimento cinese, con un conseguente effetto boomerang su molteplici settori, tra cui la meccanica, il farmaceutico, il tessile e della moda.
Se, invece, Meloni non dovesse fare alcun dietrofront, allora l’Italia dovrebbe escogitare un modo per sfruttare il MoU in maniera tale da ottenere maggiori vantaggi dal commercio con la Cina. Allo stesso tempo, Roma dovrebbe resistere alle comprensibili pressioni degli alleati, Stati Uniti in primis, già adesso non particolarmente soddisfatti della frammentazione con cui i governi europei hanno risposto alla sfida cinese. Sempre più Paesi dell’Ue, dalla Francia di Emmanuel Macron alla Germania di Olaf Scholz, non danno infatti l’impressione di voler chiudere i ponti con il gigante asiatico per sacrificare la loro ghiotta occasione di accedere all’infinito mercato cinese sul magro altare di Washington. L’Italia, dal canto suo, si trova a metà del guado: ha aderito al MoU della Via della Seta ma ha fin qui ottenuto meno rispetto ai vicini europei non membri della Bri; vorrebbe abbracciare la causa di Taiwan, in supporto agli Usa, ma teme di perdere l’accesso al mercato cinese; flirta con Taipei per ottenere semiconduttori ma non vorrebbe far alterare Pechino.
A proposito di Taiwan, l’isola che la Cina considera una “provincia ribelle” e al centro di un possibile, nuovo, testa a testa tra Pechino e Washington, dagli Usa è circolata una clamorosa indiscrezione. Secondo quanto riportato da Bloomberg, nel corso di colloqui privati tra Italia e Taiwan, Roma potrebbe essere disposta a ritirarsi dall’intesa con la Cina sulla Bri per assicurarsi un aiuto taiwanese nel settore strategico dei semiconduttori. Pare addirittura che alcuni esponenti del ministero delle imprese e del Made in Italy siano volati a Taipei per discutere con i funzionari taiwanesi non meglio specificati piani per rafforzare la cooperazione reciproca sulla produzione ed esportazione di semiconduttori.
Dal governo italiano non sono arrivati segnali di nessun tipo. L’ultimo sussulto degno di nota risale al G20 di Bali, quando Meloni aveva accettato l’invito di Xi in Cina. Molti si aspettavano una sua trasferta cinese in queste settimane, ma al momento, all’ombra della Città Proibita, si sono visti tanti leader. Non quello italiano, probabilmente ancora alle prese con un rebus complicato: come comportarsi con Pechino? Continuare sulla Via della Seta, fare brutalmente marcia indietro oppure non rinnovare il MoU sulla Bri proponendo però un altro accordo commerciale alla Cina? Il tempo stringe.