Lui diciassette anni, lei quarantadue. Maria Campai è stata uccisa dal ragazzo che l’aveva contattata su una chat di incontri. Il 19 settembre i due consumarono un rapporto sessuale nel garage dove il diciassettenne si allenava. E sempre in quel garage lui l’ha massacrata. L’omicidio sarebbe stato premeditato. Lei ha provato a difendersi, ha graffiato il ragazzo, ma non c’è stato niente da fare. Il medico legale ha rilevato i segni di diverse percosse, probabilmente dovute a pugni in faccia e non solo. Il ragazzo, figlio di un operaio di origine albanese, avrebbe sbattuto la donna, di nazionalità rumena, contro la parete del box auto fino a spaccarle la faccia. Tutto questo a Viadana, un piccolo paese in provincia di Mantova. Ed è la premeditazione a spaventare. Dopo la morte lui, lucidamente, aveva preso il telefono di Maria Campai per rispondere a un messaggio della sorella, tentando il depistaggio. Si è descritto come un uomo amabile e aveva garantito alla sorella della vittima che Maria sarebbe tornata il giorno dopo in taxi. La sorella, Roxana Campai, aveva anche visto Maria allontanarsi con il ragazzo. È stata quella l’ultima volta in cui l’ha vista.
Secondo la testimonianza del diciassettenne, l’avrebbe colpito più volte in testa e poi l’avrebbe strangolata con il braccio con una mossa del wrestling. Il ragazzo avrebbe trovato la donna online con il chiaro intendo di ucciderla, forse ispirato da alcuni suoi macabri riferimenti, tra cui Filippo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchettin. Il giorno prima dell’arresto, il ragazzo aveva anche pubblicato sui suoi social un’immagine con la didascalia “Brian Moser”, in riferimento al killer di prostitute della serie tv Dexter. Per una settimana il ragazzo ha continuato a vivere normalmente le sue giornate, come se nulla fosse accaduto. Il padre del giovane aveva inizialmente negato la colpevolezza del figlio, non potendo credere alle accuse. Come credere che un figlio sia capace della ferocia emersa dalla dinamica dell’aggressione?