Mario Giordano non è un giornalista che gira intorno alle questioni. E, in particolare nella sua rubrica su La Verità, rispondendo a un medico che denunciava gli errori della campagna vaccinale, ha rilanciato con una dichiarazione destinata a far discutere: "Per questi scienziati ci vorrebbe una Norimberga". Un’accusa pesantissima, che fa eco alle parole di Pietro Luigi Garavelli, infettivologo di fama internazionale ed ex primario di Novara, intervistato pochi giorni fa dallo stesso quotidiano diretto da Maurizio Belpietro. Garavelli, che per anni è stato silenziato perché contrario alla vaccinazione di massa durante la pandemia, oggi parla senza freni: "La politica continua ad autoassolversi e bolla come novax chi chiede trasparenza. La narrazione rimane a senso unico". Per lui il vero scandalo è l’azzeramento del Nitag, il gruppo consultivo sui vaccini: "La scienza vive di dubbio e confronto, senza non c’è dibattito".

Il medico non risparmia nessuno: "Si sapeva che il virus era mutevole, che il vaccino andava aggiornato rapidamente, che gli effetti collaterali emergevano presto. Eppure si preferì puntare su un siero sperimentale, scartando cure precoci come idrossiclorochina e plasma iperimmune". Sul protocollo ufficiale “tachipirina e vigile attesa” è lapidario: "Una scelta che ha aumentato la mortalità". Garavelli stesso si è vaccinato tre volte per poter lavorare, ma confessa: "Da allora prendo ogni giorno una cardioaspirina per precauzione. Le mie figlie invece no, non le ho fatte vaccinare". E mentre la politica continua a minimizzare, Giordano affonda: gli “scienziati” sapevano dei rischi, ma obbedirono agli ordini politici. È qui che scatta il parallelo storico più duro: una “Norimberga del Covid”, come atto di verità verso chi ha perso la vita o la salute. Un’accusa che non si limita al passato, ma che pesa sul presente: perché senza confronto e responsabilità, il prossimo virus rischia di trovarci ancora una volta disarmati.
