Il bilancio non è ancora definitivo, ma non sono solo i numeri a raccontare la tragedia della Marmolada. C’è qualcosa di più profondo, c’è la montagna trasformata dall’uomo, c’è un rispetto perduto e, se il dramma di domenica appartiene all’ineluttabile, il processo, tra mutamento climatico e atteggiamento consumistico, è difficile da fermare. Alessandro Gogna, classe 1946, alpinista e storico dell’alpinismo, guida alpina e opinion maker, è stato tra i fondatori della fondazione Mountain Wilderness, ed è a lui che abbiamo chiesto di guidarci nella comprensione non solo di ciò che è accaduto, ma anche del rapporto tra la montagna e il turismo di massa.
Gogna, cosa sta succedendo alla Marmolada?
Come tutte le montagne che non raggiungono grandi altezze, la Marmolada patisce il graduale innalzamento dello zero termico: il ghiacciaio da 35-40 anni è oggetto di una costante riduzione che si è accentuata negli ultimi anni con le ondate di calore in estate e con le sempre minori nevicate in inverno, quando a volte basta anche un colpo di föhn per farla andare via. Si tratta insomma di un ghiacciaio particolarmente soggetto a questa situazione di aumento generale della temperatura. Il riscaldamento globale è un tema reale e, sì, è dovuto all’attività dell’uomo.
Si tratta di un’escursione a rischio?
Francamente non avrei mai pensato che un’escursione per arrivare in cima alla Marmolada potesse diventare pericolosa come una passeggiata su un ghiacciaio himalayano, perché di questo si tratta: lei deve pensare che nella traiettoria della valanga c’era, sino a pochi anni fa, il rifugio Pian dei Fiacconi, distrutto nel dicembre 2020 da una slavina. Era un signor rifugio, servito da una cestovia che partiva dal lago Fedaia. Si arrivava lì, poi chi voleva poteva salire al Pian dei Fiacchi per poi avvicinarsi a Punta Penia e salire in cima. Ma quella era una slavina, qui parliamo di un seracco.
Insomma, una tragedia impossibile da prevedere.
Sì, stiamo parlando di una zona in cui non si annusa il pericolo. La prima volta che ci andai, da bambino, avevo una decina di anni: un posto bellissimo ma normalissimo, certo la neve arrivava più in basso rispetto ad ora, ma cadute di pezzi di ghiacciaio non si erano mai verificate. Magari con questa ondata di calore qualche sospetto poteva esserci, ma si tratta di eventi naturali: sostenere che bisognasse impedire l’escursione non ha senso.
Tra le vittime ci sono anche delle guide alpine.
Probabilmente sarei andato anche io stesso, perché veramente lì non era mai successa una cosa del genere e difficilmente poteva venire in mente che accadesse. Peraltro il seracco non era neanche troppo pericolante: ce ne sono alcuni che vedi e sai che è solo una questione di tempo per il loro distacco: un mese, dieci giorni, un’ora. Quello no: quello si è staccato dalla cima della Marmolada di Rocca, è qualcosa di davvero imprevedibile. Bisogna essere cauti e fare attenzione prima di giudicare: l’esperienza vale, ma ci sono casi in cui purtroppo non serve.
La montagna soffre il turismo di massa?
Dal punto di vista tecnico, gli escursionisti non degradano il ghiacciaio: passeggiare non è un danno e, se penso alla Marmolada, lo era molto di più, qualche decina di anni fa, un certo tipo di sci estivo. Diverso è il discorso se si parla di atteggiamento e se parliamo più in generale di come ci si approccia alla montagna.
In che senso?
La mentalità consumistica è la dannazione numero uno e la sta facendo da padrona. Le urla, il casino da spiaggia, e poi si pensa di poter dominare la montagna. Le faccio un esempio: le vie ferrate. Uno pensa che sia bello, che sia magnifico: se ti fa piacere, bene, ma alla fine sei solo un fruitore. Stai facendo qualcosa che hanno messo lì per te e puoi solo farlo così. Vai ed esegui. L’esperienza della montagna non si fa così, è la fine della fantasia, della creatività, appunto dell’esperienza. A volte è marketing, non alpinismo.
Ci sono però dei limiti.
Il limite è volere a tutti i costi dominare un ambiente con mezzi che non sono leali: noi dobbiamo imparare a stare nell’ambiente con mezzi leali, non a dominarlo. L’atteggiamento consumistico porta a un approccio superficiale, di troppa sufficienza, a non avere comportamenti corretti. Non ti invita ad avere timore, perché magari hai la guida, c’è la pista segnata, hai ramponi, corda, piccozza e tutto. La montagna non ti dice che fregherà, ma può farlo nel modo che non hai previsto. Pensare che ci vadano in tanti a fare escursioni fa sottovalutare il pericolo.
Quanta consapevolezza c’è sui rischi che corre la montagna?
Io ho vissuto la montagna da quando ero bambino, poi è diventata la mia professione come guida alpina, studioso, storico, come persona interessata all’ambiente montagna, a quello che esso non solo può insegnare allo spirito individuale ma anche alla società intera. Ecco, mi trovo un po’ in difficoltà ad ammettere che, tutto sommato, gli sforzi che io e tanti abbiamo fatto per diffondere la cultura della montagna in un certo modo non siano andati a buon fine.