Distratti dalla guerra tra Russia e Ucraina e dalla crisi economica in corso - tra rincari della benzina, del gas e di tante altre materie prime - le proteste riesplose in Corsica sono passate un po’ in sordina sulla stampa italiana. Ma la questione è più seria di quel che si pensi, visto che l’indipendentesismo còrso è tornato a chiedere alla Francia una propria autonomia, sia legislativa che culturale, anche attraverso manifestazioni piuttosto violente (67 feriti finora), dove, per esempio, nella città di Bastia, nel nord dell’isola, sono stati attaccati edifici pubblici e lanciati proiettili contro la polizia. Una escalation dovuta anche alle condizioni di salute di Yvan Colonna, il leader indipendentista condannato all'ergastolo per l'omicidio del prefetto Claude Erignac (1998), che pochi giorni prima era stato aggredito in carcere e ora versa in gravissime condizioni in ospedale. In questo clima di tensione, ieri si è svolta la visita del ministro dell'Interno francese, Gérald Darmanin, che ha assicurato di voler "aprire un ciclo di discussioni con i rappresentanti e le forze vive dell'isola". Ma è chiaro che per la Francia non sembra più tempo di rinvii, visto che gli indipendentisti possono contare su una solida rappresentanza nelle istituzioni, in primis attraverso il presidente del Consiglio esecutivo, Gilles Simeoni, un autonomista eletto democraticamente, il quale ha ribadito di volere uno statuto speciale autonomo rispetto a Parigi.
Per comprendere davvero le ragioni di queste mobilitazioni abbiamo intervistato Mathieu Pompa, giovane militante nazionalista di Femu a Corsica (partito politico autonomista còrso), che ha partecipato alle manifestazioni e continuerà a farlo, come ci ha tenuto a precisare, se non ci saranno delle aperture rispetto alle loro richieste. Anche perché, ha spiegato, “la Corsica ha una sua storia e una sua cultura, diverse da quelle francesi” e nel 2022 il popolo còrso si sente ancora “sotto un colonialismo che non è più accettabile”, oltre a soffrire del “razzismo dei francesi che ci vedono sempre con occhi da forestieri”. Mathieu, 21 anni, fa parte dell’ultima generazione di nazionalisti. Quella che avanza le proprie richieste politicamente, rispetto alle precedenti (come quella dei suoi genitori) che aveva invece ingaggiato per anni una lotta armata verso le istituzioni francesi. Ma ora, ha precisato, pur volendo trovare “una soluzione politica” ha messo in guardia: “Se non ci ascolteranno non ci fermeremo, non vogliamo essere costretti a tornare a imbracciare le armi”.
Mathieu, cosa ti ha spinto a entrare nel partito Femu a Corsica?
Sono cresciuto nel nazionalismo còrso, ancor di più dopo la vittoria nel 2015 di Gilles Simeoni. Non ho conosciuto la violenza degli anni ‘70 e ‘80 come in miei genitori, però la mia generazione ha vissuto le vittorie elettorali. Siamo coscienti della nostra storia di 250 anni e del colonialismo subito da parte della Francia. Per cui, per me è importante essere impegnato politicamente per raggiungere l’autonomia della Corsica, che è la mia terra.
Dopo anni di apparente tranquillità, che cosa ha fatto scattare le mobilitazioni, anche violente, di questi giorni?
Il problema centrale è che tutte le richieste fatte da Simeoni, prima a Hollande e poi a Macron, sono state rifiutate senza nessuna apertura. Dall’autonomia dell’isola al riconoscimento della lingua còrsa. Per cui siamo in una situazione dove abbiamo degli eletti democraticamente che fanno delle richieste e che non vengono ascoltate. In questi sette anni non è cambiato nulla.
Ha contribuito anche l’aggressione in carcere che ha portato in fin di vita Yvan Colonna, uno dei vostri leader. Cosa rappresenta per voi?
È stato arrestato nel 2003, per cui avevo solo tre anni. La mia generazione non l’ha conosciuto, ma è un simbolo di resistenza, un militante che ha sempre lottato per la Corsica. È incarcerato in Francia e anche questo è un problema per noi, perché abbiamo chiesto che i detenuti politici vengano rimandati nell’isola. Se lo Stato avesse ascoltato almeno questa richiesta le mobilitazioni non ci sarebbero state.
Perché è così importante per voi che i “detenuti politici” dalla Francia tornino in Corsica?
Perché in Francia sono in pericolo, come ha dimostrato l’aggressione a Yvan Colonna. Oltre a tutte le difficoltà per i parenti di andarli a visitare e alle spese che devono sostenere. Non ci sentiamo tutelati.
Prima hai parlato di “colonialismo”. È così che si sentono i còrsi sotto la Francia?
Sì, perché ci sono grandi differenze culturali. Siamo un popolo con una lingua, una storia, siamo stati anche una Repubblica indipendente con una sua moneta. Senza contare che siamo un’isola, per cui le differenze sono ancora più marcate.
C’è il rischio di un ritorno alle armi, come avvenne in passato?
Se siamo arrivati a queste mobilitazioni ci vuole una risposta forte dello Stato francese. Come l’avvicinamento e la liberazione dei prigionieri politici e l’istituzione di uno statuto d’autonomia per la Corsica. Il ministro dell’Interno è venuto in vista, ci sono state discussioni, ma noi abbiamo ribadito una soluzione politica. Se questa non arriverà le mobilitazioni continueranno.
Non parli di armi, ma fai capire che non le escludi.
Tra un mese ci saranno le elezioni presidenziali, per cui lo Stato vuole calmare la questione per passare tranquillamente le votazioni. Ma noi senza soluzione politica non siamo d’accordo a fermarci.
Tu saresti pronto a imbracciare le armi per l’autonomia della Corsica?
È complicato rispondere. La mia generazione è quella che ha conosciuto al pace e una via politica per risolvere certe questioni. Ce lo dicono anche le generazioni precedenti, che invece hanno imbracciato le armi: voi siete una generazione di pace. Per cui, noi speriamo che la risposta sia politica rispetto alle nostre richieste per non obbligarci ad arrivare a imbracciare davvero le armi. Noi vogliamo una risposta politica senza violenza. Se poi il popolo continuerà a non avere risposte saranno normali dei momenti di tensione. Perché la situazione non può più continuare così.
Vi sentite anche discriminati da parte dei francesi?
Non siamo considerati come francesi. Ma noi stessi non ci consideriamo così. Siamo un popolo mediterraneo, con più affinità con l’Italia, oppure con isole come Sardegna e Sicilia. In Francia c’è una mentalità mondialista nella quale non ci sentiamo rappresentati. Oltre alle differenze culturali, storiche e di lingua. E poi ci sono problemi molto più comuni…
Quali?
Il razzismo contro i còrsi esiste. Io stesso, che sono sono studente in Francia, lo provo sulla mia pelle. Ma basta scorrere i social per vedere il razzismo che circola nei nostri confronti. I francesi non conoscono la nostra storia e la nostra cultura, per cui hanno uno sguardo “forestiero” che non gi permette di capire le nostre ragioni. Non vogliamo l’indipendenza, ma almeno l’autonomia per prendere noi stessi le decisioni migliori per il nostro territorio.