Da giovane comunista a secessionista padano. Da secessionista a nazionalista. Da Pontida al Ponte sullo Stretto. Dalla cassoeula alla cazzimma. Dalla Padania libera all’Italia sovrana e al meridionalismo mediterraneo. Poche biografie politiche italiane offrono una metamorfosi così netta, così sorprendente, così italiana come quella di Matteo Salvini. Quando, nel 1990, un diciassettenne magrolino e capellone si faceva fotografare nel pratone di Pontida, la sua vita era ancora una miscela di collettivi scolastici e di quei primi gazebo della Lega di Bossi, introdotti all’uso dal mitologico Luigi Dossena. Gli amici ricordano che da studente del Manzoni, Salvini frequentava pure il Leoncavallo, salvo poi smentire quella versione. Poi arrivò la folgorazione, la Lega, la Padania libera e l’incubo di tutti i mali messi assieme, Roma ladrona. A Milano si racconta ancora che uno dei suoi primi ruoli fu quello di volantinatore instancabile, dall’entusiasmo quasi da boy-scout politico. Faceva tutto, appendeva manifesti, montava gazebo, distribuiva spille. E mentre lui macinava chilometri per la causa padana, di acqua sotto i ponti ne passava parecchia. Primo fra tutti il ponte sull’Adda, crollato dopo una piena nel 1994 e ricostruito solo quindici anni dopo. E' un’immagine perfetta per raccontare le sue trasformazioni. Come si è giunti, adesso, al Ponte sullo stretto? Salvini è cresciuto, ma soprattutto, è cambiato moltissimo.
Dalla cassoeula con Bossi al pratone, oggi preferisce la cazzimma dei comizi al Sud. Da Padania libera all’Italia agli italiani. Dal Po al Ponte sullo Stretto, un salto geografico, ma soprattutto psicologico. E culturale. E' un passaggio epocale, dalla secessione al nazionalismo. Dal “giù le mani dal Nord” al tour calabrese insieme al suo sodale Claudio Durigon, artefice dello spostamento di un pezzo di voto sistemico verso la Lega meridionalista. E poi arriva l’ut gaudioso della sua melodia politica, la casa a Roma, la nuova residenza che suggella la sua piena romanizzazione. L’appartamento acquistato dalla famiglia Acampora grazie all’intermediazione dell’ex studio di Cesare Previti è il simbolo perfetto del paradosso, il tribuno che gridava contro Roma ladrona ora compra casa proprio nel cuore della ladreria, almeno nel senso mitologico che ne dava la Lega degli anni ’90. Un bilocale da 28 vani, come racconta il Domani, lontanissimo dagli anni di Salvini uomo del popolo. Quattro piani collegati con scala interna e due box auto. Una villa che era proprietà di una società del Lussemburgo quando la guardia di finanza, in prossimità delle nozze di Giovanni Acampora, perquisì l'abitazione per trovare tracce di bonifici di conti correnti del suo proprietario, uno dei fedeli di Cesare Previti, indagato e condannato nei processi Imi-Sir e lodo Mondadori. Ma per Salvini, oggi non c'è nulla di illegale nell'affare, sia chiaro. Anzi, sarebbe stato strano che a comprare una casa con una storia simile potesse essere qualcuno di sinistra, non trovate? E neppure davvero a prezzo stracciato, 2000 euro al metro quadro a Roma non sono regalati, certamente. Ma quel che colpisce non è la cifra, ma la simbologia. Salvini si è borghesizzato, cammina, parla e si muove ormai come un ingegnere, uno che pensa in termini di ponti, travi, sbalzi, consolidamenti statici. Letteralmente, il Ponte sullo Stretto è diventato la sua cifra estetica, la sua ossessione infrastrutturale, il suo personale Colosso di Rodi. Così la Lega, da partito nato per tagliare l’Italia in due, oggi costruisce ponti verso la Trinacria, quella terra mitologica dove ci sono più forestali che alberi. È il ribaltamento completo, l’ex secessionista che diventa architetto dell’unità nazionale. Forse è un’abitudine dei governi italiani quella di acquistare case di lusso a Roma da famiglie dal passato nebuloso, nella migliore delle ipotesi. Ma più che indignazione, qui si prova stupore, lo stupore che si prova davanti alle metamorfosi della natura. E la metamorfosi è, più di tutto, l’essenza stessa della vita.
Augusto Del Noce parlava del suicidio della rivoluzione, l’idea che ogni rivoluzione, nel volersi completare finisce per negare sé stessa. Salvini sembra averne offerto una versione tutta sua. Negata la rivoluzione padana per far nascere una rivoluzione nazionalpopolare. Ma la domanda è se sia stata davvero una rivoluzione. Forse che sì, forse che no. O forse, più semplicemente, non ce ne importa nulla. Perché Salvini resta fedele a un principio di fondo, prima si stava meglio. Anche quando non era vero. Anche quando lui stesso era il primo a dire il contrario. L’uomo che un tempo gridava contro Roma oggi ne diventa simbolo, ma non per scandali o intrallazzi, semplicemente per forma. Ed è proprio la forma, spesso, che agli occhi del cittadino, che non capisce un accidente ma vota, viene scambiata per sostanza. Siamo dunque a tutti gli effetti giunti nella fase romana di Matteo Salvini, che ricorda un po’ quella di Berlusconi a Palazzo Grazioli. Roma trasforma, Roma assimila, dai bangladini ai kebabbari ai cinesi che parlano ormai con l’accento romano. La Caput Mundi risucchia tutto e tutti. E allora, romanamente, salutiamo il comunista padano e diamo il benvenuto ad un nuovo personaggio, l’ingegnere romano, costruttore di ponti, negazionista e affermatore, uomo e suo contrario, fantastico, inimitabile Matteo Salvini.