Ha detto che l'Europa deve capire che “se vuole essere grande deve essere in grado di difendersi da sola”, che il governo italiano continuerà a sostenere l'Ucraina, che l'Italia “non è stata timida con Israele” su quanto successo in Cisgiordania, ha parlato dello Stato palestinese e pure di politica interna, dalla riforma sulla separazione delle carriere al premierato, dalla legge di bilancio a Schlein. Nell'intervista rilasciata a Enrico Mentana su La7 Giorgia Meloni ha parlato di tante, tantissime cose. È però apparsa molto stanca, o almeno ha dato l'impressione di essere sfinita dalle continue polemiche che gravano sul governo. Lo smalto brillante dei primi giorni alla regia dell'esecutivo sono un lontano ricordo oppure, quello che abbiamo visto pochi giorni fa, è solo il momentaneo avvicinarsi alla fine di un anno faticosissimo? Impossibile dare una risposta. La sensazione è che possano essere vere entrambe le ipotesi. Da un lato, infatti, Meloni ha pagato – come tutti i leader italiani del resto – lo scotto di passare dal fare opposizione al guidare un Paese; dall'altro è innegabile che il 2025 sia stato uno dei classici “anni di fuoco”, 12 mesi intensi dove è successo di tutto.
Giulio Andreotti diceva che “il potere logora chi non ce l'ha”. A giudicare dalle fatiche di Meloni si può aggiungere che consuma anche chi ne ne ha troppo. Leader, premier e presidenti sono stremati da dossier e vicende esplosive da maneggiare con estrema delicatezza. Sia chiaro: questo vale per i “nostri” leader, ossia dei leader democratici, ma anche per quelli delle “autocrazie”. Basta dare un'occhiata a Xi Jinping. Pochi giorni fa, il presidente cinese ha accolto Emmanuel Macron per un attesissimo vis a vis oltre la Muraglia. Se il capo dell'Eliseo si è sforzato per mostrarsi giovanile e slanciato (tra partite a ping pong riprese dai media e rilanciate sui social e corse in mezzo ai giovani), Xi non ha fatto altrettanto. Al contrario, il segretario del Partito Comunista Cinese ha giocato sul fatto di essere saggio. Peccato che in alcune foto si notavano sia le mani gonfie che la faccia scavata dalle inevitabili segni dell'età; un messaggio che la Cina, la seconda potenza del pianeta, non può affatto ignorare. “La Cina e la Francia dovrebbero dare nuovi contributi per promuovere un mondo multipolare, equo e ordinato”, ha in ogni caso spiegato al suo ospite Xi. Questo è ciò che conta per Pechino.
Allargando lo sguardo oltre Oceano la situazione non cambia affatto. Donald Trump, sulla carta d'identità 79 anni, prosegue nel suo secondo mandato tra attacchi ai giornalisti che gli fanno domande scomode, siparietti con tacchini e assurdi post condivisi sui suoi canali social. Sia chiaro: il tycoon è sempre stato un tipo, per così dire, bizzarro ma adesso c'è chi scommette che l'età possa iniziare a influire su certi suoi atteggiamenti. In altre parole, così come lui dava del “vecchio” al predecessore Joe Biden, ora c'è chi sta facendo altrettanto con lui. E Vladimir Putin? Anche il presidente russo è finito nella lista di chi potrebbe aver perso lucidità per colpa dell'età (73 anni), o peggio, per non meglio specificate malattie (in merito a quest'ultimo punto, i giornali hanno scritto di tutto pur senza avere prove). Insomma, guardando la “rosa” dei leader dei principali Paesi del mondo, il filo rosso che li lega sembra essere chiaro: l’età avanza, le rughe si fanno visibili e, talvolta, anche il potere sembra davvero logorare chi lo esercita.