Da qualche tempo ormai Giorgia Meloni si è sveglia europeista. Apparenza o meno, il suo discorso è atlantista ma ancora di più europeo, al punto d far dubitare che l’intervista rilasciata ieri a Mentana abbia fatto piacere a un terzo del suo governo, quello leghista. Siamo di fronte all’ultima fase di quel processo di istituzionalizzazione che porta le destre populiste a trasformarsi in qualcosa di ben più civile. È il processo che Marco Tarchi, mesi fa, auspicava per il partito di Marine Le Pen, il Rassemblement National. Questa fase di istituzionalizzazione lascia indietro molti storici alleati e ne lascerà indietro ancora di più. La destra potrebbe non avere più bisogno, se Meloni lavorerà bene, dei Vannacci, dei Salvini, né di gran parte dell’attuale classe dirigente, pressoché impresentabile.
Su un punto Giorgia Meloni dimostra di aver fatto uno scatto. Quando a Mentana dice: “'Europa deve capire che, se vuole essere grande, deve essere in grado di difendersi da sola. Quando appalti la sicurezza a qualcun altro devi sapere che c'è un prezzo da pagare. Io lo dico da tempo. Per noi questa è un'occasione: un'occasione che ha un costo economico, ma produce libertà politica”. Meloni sta provando a tenere insieme le critiche di Trump, che invece invitano platealmente a prendere in considerazione ancora più paternalismo americano in Ue, e una necessità reale che oggi passa, per esempio, da Re-arm Europe e che con Trump non ha nulla a che vedere. E, provando a non fare arrabbiare lo storico alleato, tutto sommato Giorgia Meloni lo dice: “Quando appalti la sicurezza a qualcun altro devi sapere che c’è un prezzo da pagare”.
È il prezzo che ci impedisce di fare la voce grossa con Trump e allo stesso tempo di essere presi sul serio da Putin, che ci rende scarsi nella formazione di una leadership politica che sappia comunicare il benessere europeo per quel che è (Macron, tra i pochi leader di rilievo europeo, è stato inghiottito con facilità da una narrazione dominante che è stato incapace di gestire). È anche il prezzo dell’ignoranza storica, quella che ci fa cedere a favore di equazioni insostenibili, al pacifismo d’accatto, il gandhismo de’ noantri che si basa su poco o niente, se non sulla convinzione che la guerra sia brutta (e grazie).
C’è poi da dire che la risposta di Meloni, oltre a dire molto di lei, dice tanto del National Security Strategy of the United States of America (novembre 2025): parliamo di un’analisi cinica ma concreta, sostanziale, che non cerca di confondere le acque. È l’assertività maschile tanto criticata, il dispotismo della chiarezza (e non della superficialità). È la posa muscolare del presidente Usa e la slombatezza agiata e pigra della retorica europea. Ma davvero crediamo di non dover imparare da questo? Meloni ci prova, non nega i fatti e, così facendo, tenta di dare una risposta concreta a un problema reale, la mancanza di un Europea unita sul piano della difesa e, ancora di più, della ricerca tecnologica, strategica, 2.0. La guerra ibrida di cui ha parlato anche Guido Crosetto non la stiamo vincendo. Non l’Italia, ma tutti, come ricorda Emanuel Pietrobon in questa intervista, tutta l’Europa. Forse è il caso di svegliarsi?