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Michele Serra, Maurizio Molinari e la banalità di un dialogo che poco c'entra con il Male

  • di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

18 ottobre 2022

Michele Serra, Maurizio Molinari e la banalità di un dialogo che poco c'entra con il Male
Botta e risposta epistolare su Repubblica tra lo storico editorialista Michele Serra e il direttore Maurizio Molinari. Il tema? La pubblicazione ricorrente, nell'edizione online della testata, delle fotografie dei fratelli Bianchi. Un tema interessante posto malissimo, nella completa supponenza di chi "non capisce niente del traffico dei clic", e sfociato in un discorso, generalizzato fuori da ogni confine, sul Male del mondo

di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

La banalità del male, scriveva Hannah Arendt. Non sapendolo allora che quel titolo, così perfetto nella semplicità di un concetto enorme, sarebbe stato copiato, usato e strausato fino ad essere a sua volta, ahimè, banalizzato. Perché il Male, quello con la M maiuscola come scrive Repubblica nell'edizione cartacea del quotidiano di oggi, 18 ottobre, è un concetto di quelli che non puoi spiegare e che di conseguenza, testardi, orgogliosi e supponenti come siamo, di tanto in tanto tiriamo fuori per discorsi piccoli, quotidiani, finendo per generalizzare. 

Ed è proprio quello che è successo nello scambio di lettere scritte, e pubblicate, dallo storico editorialista Michele Serra e il direttore di Repubblica Maurizio Molinari. Il tema? Una richiesta da parte di Serra: smettere di utilizzare sul sito di Repubblica le fotografie dei fratelli Bianchi, i due giovani responsabili dell'omicidio di Willy Monteiro Duarte, ucciso in un crudele pestaggio la sera del 6 settembre 2020. Scrive, Serra: "I fratelli Bianchi sono diventati una specie di icona permanente. Una rubrica fissa. Preferirei di no. Ho profondo rispetto per chi lavora alla nostra edizione online. [...] So benissimo che è soprattutto il grande traffico dei clic a garantirci la pagnotta, almeno per il momento. Ma non ad ogni costo. Il costo non può essere convivere, per mesi, con i fratelli Bianchi. Non me la sento. Non è il mio ramo. Non è quello che pensavo potesse accadermi, da grande, quando ho cominciato a scrivere sui giornali".

Willy Monteiro Duarte
Willy Monteiro Duarte

Ed qui, il primo "male" di queste lettere. La questione è legittima, per carità, e chiunque dispone di una propria sensibilità personale che lo porta a "non sentirsela" davanti a cose diverse, orrori quotidiani, cronaca nera senza censura e così via. Ma Michele Serra lamenta un distacco tra il suo sogno di giovane giornalista e la realtà in cui viviamo, arrivando a dire che "questo non è quello che si aspettava quando ha iniziato a scrivere" per colpa delle fotografie di due assassini. Non le fotografie dell'omicidio, sia chiaro. Ma le fotografie di due assassini in posa, palestrati e tatuati.

Chissà cosa risponderebbero i tanti giovani "della trincea" del web, come li chiama Serra. Chissà quali sono le loro di aspettative mancate in questo mondo del giornalismo che li sfrutta e li sottopaga e li costringe a comprendere, sfruttare e capire le logiche dei clic. Un sistema che Serra, dall'alto della sua lettera pubblicata sull'edizione cartacea del quotidiano, dice di apprezzare "con profondo rispetto" ma che poi banalizza e, un po' superficialmente, denigra: "Non capisco niente del traffico dei clic - scrive il giornalista - e non invidio chi finge di sapere quali sono le leggi che lo regolano".

Non sa, non vuole sapere, non crede che qualcuno invece ne possa sapere. Ma commenta, e critica, e "suggerisce ugualmente una via d'uscita". Quello che potrebbe quindi essere un tema interessante, una questione che da ormai un decennio rimbalza nel mondo della comunicazione e del giornalismo, viene banalizzata dalla presunzione di chi sa di non sapere ma vuole comunque dire che sono gli altri a sbagliare.

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Michele Serra

E la risposta del direttore, per quanto sia possibile, generalizza e banalizza il discorso ancora di più. Serra pone una domanda specifica, in un caso specifico e su un fronte, quello dell'online, molto ristretto. Maurizio Molinari per contro prende la via di chi vuole controbattere ma non se la sente, o forse non può, farlo in modo del tutto sincero. Non dice: sì, il volto dei fratelli Bianchi è diventato per il pubblico un'immagine identificativa del fatto e ci porta più clic perché aiuta i nostri lettori a creare un contesto. No, il direttore di Repubblica preferisce dissentire prendendo le vie contorte di un discorso ontologico sul male: "è giusto, opportuno, conoscere il Male - scrive Molinari nella sua risposta - e guardarlo negli occhi. Perché il male è presente tra noi e conoscerlo aiuta a proteggerlo dalla sua moltiplicazione". Un discorso che tra voli pindarici passa dalle immagini dell'11 settembre agli orrori dell'Isis fino ad arrivare alla risposta che, in estrema sintesi e senza peregrinazioni dentro i concetti di bene e male, potrebbe essere: grazie per la domanda, caro Michele. Il Male va raccontato, queste fotografie aiutano a farlo. Quindi continueremo a usare queste fotografie.

Sarebbe stata una bella risposta, questa. E sarebbe stata ancora migliore se il direttore avesse avuto il coraggio di bacchettarlo un po', di difendere il valore di quei "clic" che Serra tanto schifa, che sono quelli che oggi non solo portano a casa la pagnotta nel mondo dell'editoria ma sono anche quelli che davvero, fuori dalla piccola bolla del mondo in cui vive chi il giornalismo lo fa, informano le persone. Quelle che hanno poco tempo, quelle che non bombardate di notizie e che riconoscono un nome collegandolo a un volto, proprio come nel caso dei fratelli Bianchi, e che non per questo fanno parte di un sistema, giusto o sbagliato che sia, che Serra non prova neanche a capire.

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