Zero tolleranza sulle occupazioni abusive e teniamo il Leoncavallo? Detta così sembra una battuta di Corrado Guzzanti nei panni dell'uomo della strada con ambizioni da sindaco. E invece è, in estrema sintesi, la linea politica di Beppe Sala su uno dei nodi più ingarbugliati e identitari della Milano degli ultimi 30 anni. Una linea coerente solo nella sua ambiguità: sgomberare migliaia di immobili in nome della legalità e allo stesso tempo lasciare intatto un centro sociale occupato dal 1994, colpevole solo di essere troppo amato per essere toccato. Per il Leoncavallo, il Comune ha sempre tenuto in vita il mito della “soluzione politica”: mediazioni, tavoli, ipotesi di concessioni d’uso o affitti simbolici. Mai una firma, mai un accordo. Nel frattempo, i poliziotti sgomberavano 4mila immobili abusivi, mentre via Watteau restava intoccabile, in una bolla sospesa tra cultura alternativa e immobilismo istituzionale.

Il risultato? Un centro sociale che ha continuato a lavorare senza permessi, un Comune che si voltava dall’altra parte, una proprietà privata che, dopo decenni, si è stufata, ha avuto ragione in tribunale e un cambio di governo che ha favorito l'uso politico anche dello sfratto del Leoncavallo. Così il 21 agosto 2025 il questore ha firmato lo sgombero – senza avvertire Sala – e l’equilibrio si è rotto. Il sindaco si è detto “amareggiato” e “non informato”, come se il problema non fosse stato suo per due mandati interi da primo cittadino. La politica fatta a slogan produce questo: decisioni rimandate fino a quando qualcun altro - in questo caso la Prefettura - decide per te. Senza una soluzione reale, senza una visione, e quindi scontentando tutti. I legalitari, che vedono un'eccezione lunga 30 anni. I militanti, che si sentono traditi. E lo stesso Sala, che sperava (senza far nulla) in un finale più da sinistra chic.
