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Sgomberato il centro sociale Leoncavallo, ma lo sapete cosa state uccidendo? Un’idea di Milano che resiste da trent’anni ai blitz, diversa dal modello Sala: musica, sperimentazione, politica. E tutta quell’umanità che ora vogliono cancellare…

  • di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

  • Foto: Ansa

21 agosto 2025

Sgomberato il centro sociale Leoncavallo, ma lo sapete cosa state uccidendo? Un’idea di Milano che resiste da trent’anni ai blitz, diversa dal modello Sala: musica, sperimentazione, politica. E tutta quell’umanità che ora vogliono cancellare…
Stanno sgomberando il Leoncavallo: ma sapete cosa state distruggendo? È un’idea diversa di Milano (che sta morendo tra inchieste sull’urbanistica e carovita): non è solo un centro sociale, ma un luogo di sperimentazione, musica, politica. Vi raccontiamo tutta la storia, la stessa che ora stanno provando a cancellare

Foto: Ansa

di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

Milano, una città in perenne trasformazione, quando sono arrivato qui nel 2007 era abbastanza ovvio considerarla come un luogo che viveva e si nutre di molteplici anime. La Milano patinata della moda e della finanza, la Milano dei grattacieli e dei quartieri gentrificati, ma c’era un tempo anche un’altra Milano, quella che pulsa nei suoi margini, che si muoveva al ritmo delle controculture, della musica underground e del pensiero critico. Era la Milano popolare, anarchica, quella dove ho iniziato a fare i primi passi nell'attivismo. Il Leoncavallo, uno dei più antichi e significativi centri sociali autogestiti d'Italia, è stato per decenni il cuore pulsante di questa seconda anima, un laboratorio a cielo aperto di cultura, politica e socialità. La sua storia, fatta di occupazioni, sgomberi e rinascite, non è solo la cronaca di un centro sociale, ma la parabola di un'intera città e della sua capacità (o incapacità) di accogliere le diversità.

La storia del Leoncavallo inizia nel 1975, quando un gruppo di giovani occupò una fabbrica dismessa nella omonima via. Nasce così il primo Leoncavallo Spazio Pubblico Autogestito, un luogo che presto divenne un punto di riferimento per l'attivismo politico e culturale. Nel 1989, dopo anni di tensioni, il centro fu sgomberato una prima volta ma la sua comunità non si arrese. L'occupazione di una nuova area in via Salomone diede vita al Leoncavallo 2, che subì a sua volta uno sgombero nel 1994. È a questo punto che inizia la fase più nota della sua storia: la comunità si spostò in via Watteau, in un'ex cartiera, dove il Leoncavallo trovò una casa stabile per i successivi decenni, trasformando un luogo abbandonato in un vibrante polo di aggregazione che questa mattina, prima notizia dei giornali italiani, sta venendo sgomberato definitivamente. Per chi scrive, il segno definitivo del declino della Milano che abbiamo conosciuto. Il Leoncavallo, nel corso della sua esistenza, ha attraversato le epoche, adattandosi ai cambiamenti sociali e mantenendo la sua missione originaria: offrire uno spazio di libertà, autonomia e produzione culturale al di fuori delle logiche di mercato. Una cosa di cui Milano ha un estremo bisogno.

Ciò che ha reso il Leoncavallo un'entità unica nel panorama milanese e italiano non è stata solo la sua resistenza, ma la sua straordinaria vitalità culturale. Non era un semplice luogo di ritrovo, ma un vero e proprio ecosistema creativo. Al suo interno, si sono svolti migliaia di eventi che hanno segnato la vita culturale e politica di Milano da Michele Santoro e i dibattiti contro la mafia a i più bei eventi di musica elettronica che a Milano io abbia mai visto e ascoltato. I festival musicali, in effetti, sono stati la colonna sonora del Leoncavallo. Dalle sonorità punk e hardcore degli anni '90 al reggae, al dub, all'elettronica, al hip hop, il centro ha dato spazio a centinaia di artisti, spesso emergenti, che non avrebbero trovato un palco altrove. Festival come il "Leoncallo" o il "Rave Against the Machine" non erano solo concerti, ma eventi di massa che univano la musica all'impegno politico. Il Leoncavallo ha contribuito a lanciare generazioni di musicisti e a diffondere generi musicali che hanno poi trovato spazio nel mainstream. Ma la musica era solo una delle tante espressioni. Il Leoncavallo è stato un luogo di confronto e dibattito, una piattaforma del contemporaneo dove si sono tenute innumerevoli conferenze e presentazioni di libri. Economisti, sociologi, filosofi, scrittori e giornalisti si sono susseguiti sul suo palco, affrontando temi scomodi e cruciali, dall'anticapitalismo all'ecologia, dalla critica sociale ai diritti civili. È stato il luogo in cui si è data voce a chi non ce l'aveva, dove le minoranze e i movimenti sociali potevano trovare uno spazio di ascolto e di espressione. Ricordo qui alcune tra le mie prime conferenze, a ventidue anni, il dibattito che ne seguiva ... In questo contesto, il Leoncavallo ha funzionato come un'università parallela, un'alternativa all'accademia tradizionale, offrendo un sapere non convenzionale, radicato nelle lotte e nelle esperienze dirette. I suoi dibattiti, aperti e inclusivi, hanno formato intere generazioni di attivisti e pensatori.

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Oggi, l'atto finale, lo sgombero definitivo del Leoncavallo: la fine di un dibattito acceso sulla pianificazione urbana di Milano tra le gioie del ministro Salvini. A differenza degli sgomberi precedenti, che erano stati seguiti da nuove occupazioni, questo temo sarà un durissimo colpo che segnerà la fine di una certa idea di Milano già estremamente compromessa.

Ma perché uno spazio del genere non doveva essere sgomberato? Le ragioni sono molteplici e toccano la natura stessa della città contemporanea. In primo luogo, il Leoncavallo non era un luogo di "illegalità", ma un centro di produzione sociale e culturale. Nonostante l'assenza di un titolo di proprietà, aveva creato un valore inestimabile per la comunità, riqualificando un'area abbandonata e offrendo servizi e opportunità che il settore pubblico e privato non offrivano. Milano ha un disperato bisogno di spazi come il Leoncavallo. In una città dove il costo degli affitti e degli spazi commerciali è insostenibile, dove la cultura è sempre più mercificata e ridotta a evento-spettacolo, i centri sociali autogestiti sono un'ancora di salvezza. Sono luoghi di sperimentazione, dove le idee possono nascere e crescere senza l'obbligo di generare profitto. Sono gli unici luoghi in cui i giovani, i precari, gli artisti e gli attivisti possono trovare un tetto e un terreno fertile per la loro creatività.

La vicenda del Leoncavallo si inserisce in un contesto più ampio, che ha visto nascere e poi essere soffocati altri esperimenti simili. L'esperienza di Macao, altro centro sociale milanese, è un esempio calzante. Macao, nato in un grattacielo abbandonato in viale Molise, ha rappresentato la risposta creativa e visionaria di una nuova generazione di artisti e attivisti alla mancanza di spazi. La sua chiusura, seguita poi da riaperture in altri luoghi, ha mostrato la tenacia di un movimento, ma anche la fragilità di queste esperienze. La chiusura del Leoncavallo e la continua repressione dei movimenti di occupazione rischiano di avere conseguenze drammatiche per il futuro di Milano. Senza spazi autogestiti, la città rischia di diventare una vetrina sterile, un luogo in cui la cultura è solo un prodotto da consumare e non un processo da vivere. Il rischio è che i giovani, i creativi, gli intellettuali che non si riconoscono in questa logica, decidano di abbandonare la città, cercando altrove una realtà più accogliente e vivace.

Questo non è solo un problema di "urbanistica" o di "sicurezza", ma un vero e proprio scandalo etico e politico della microfisica del potere cittadino. Le città che prosperano non sono quelle che spazzano via ogni forma di dissenso e di autonomia, ma quelle che sanno accoglierle, integrarle e valorizzarle. Il Leoncavallo, nonostante i suoi problemi e le sue contraddizioni, era un bene comune, un patrimonio immateriale che andava protetto. La sua assenza, e il vuoto che lascerà e non verrà scolmato. Il dibattito che si deve immediatamente accendere intorno alla sua storia e al suo sgombero non è un esercizio di nostalgia, ma un grido di allarme. Milano, per rimanere una città viva e attrattiva, ha bisogno di riconnettersi con la sua anima ribelle e sotterranea. Ha bisogno di nuovi Leoncavallo. Perché la città è fatta di persone, di idee, di storie, e non solo di mattoni e cemento. E senza il battito di quei cuori che pulsano nei margini, il cuore di Milano rischia di fermarsi per sempre. O forse è già successo.

 Un presidio contro lo sgombero al Leoncavallo di Milano
Un presidio contro lo sgombero al Leoncavallo di Milano Ansa
https://mowmag.com/?nl=1

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