In tanti stanno parlando del gruppo Facebook “Mia moglie”. Qualcuno lo definisce un gioco goliardico, altri lo difendono come scherzo da bar. Io lo vedo diversamente. Perché dietro quelle foto postate da mariti, compagni o presunti tali, non c’è solo leggerezza: c’è un confine sottilissimo tra la goliardia e la violenza psicologica. In apparenza può sembrare un gioco, con commenti come “che bella che è tua moglie”, “ma io non la farei mai uscire di casa”, “sei fortunato”. Ma la realtà è molto più complessa. In alcuni casi ci sono coppie che cercano di ravvivare la propria intimità attraverso un gioco erotico rischioso. Ma in altri casi è diverso: la donna non è consenziente, è l’uomo a pubblicare la fotografia. E nei casi peggiori quelle immagini non arrivano nemmeno da un rapporto di coppia: sono foto prese dai social o addirittura scattate di nascosto. Inserite poi nel gruppo solo per un’attenzione pruriginosa.

Il paradosso è che, in realtà, non si sta presentando la moglie agli altri, ma se stessi. Perché usare il corpo di qualcun altro per ottenere approvazione, consenso, invidia, non ha nulla a che fare con l’amore. È solo una vetrina delle insicurezze. Vorrei ricordare un aspetto fondamentale: tutto quello che pubblichiamo sul web può essere visto, salvato, detenuto e ripubblicato altrove. Questo può causare danni enormi all’immagine di una persona, ma soprattutto alla psiche. Può generare traumi importanti. Ecco perché dobbiamo denunciare quando accadono fatti simili. Non pensiamo nemmeno che sia una novità: nei luoghi più oscuri del web queste pratiche esistono da anni e non di rado le forze dell’ordine sono costrette a intervenire. A conti fatti, ciò che emerge da questa vicenda è chiaro: la narrazione tossica di un maschilismo che si esibisce attraverso il corpo della donna. Ma in realtà non mostra forza, mostra solo fragilità. Questa è l’esposizione dell’insicurezza dell’uomo. E soprattutto una grave mancanza di rispetto.
