“Dopo i ballottaggi mi occuperò di lui”, aveva promesso il presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani. Ed eccoci qua. Urne chiuse da un pezzo, verdetti noti. Ora è il momento delle magagne irrisolte. La più spinosa, per il centrodestra in Sicilia, ha nome e cognome: Girolamo Turano detto Mimmo. Potente assessore regionale all’Istruzione e alla formazione professionale, in quota Carroccio. Ma a Trapani, a sostegno del candidato civico di centrosinistra Giacomo Tranchida. Che a fine maggio è stato rieletto sindaco grazie al contributo determinante della lista di Turano. Mandando così in tilt la maggioranza: meloniani furiosi, forzisti tra due fuochi, leghisti a riccio attorno al loro campione di preferenze – che alla fine, si sa, contano più di ogni proclama di bella politica. Anche a costo di difendere l’indifendibile. Non è nemmeno così difficile, di questi tempi: morto Berlusconi, il triumvirato nazionale vive la sua fase più delicata. Ogni mossa pesa, ogni variazione dello status quo si può ripercuotere sugli equilibri di coalizione. Non vale la pena metterli a repentaglio per i singoli, sia pure controversi. E questo, i personaggi come Turano, lo sanno bene.
Come vada a finire la faccenda non è affatto scontato. Che Turano sia un problema l’ha fatto intendere il presidente stesso, senza troppi giri di parole. “A Trapani è successo il peggio del peggio”, ha dichiarato Schifani via Adnkronos dopo il voto. “Se la Lega si fosse schierata nel suo alveo naturale, avrebbe vinto agevolmente Maurizio Miceli. Che si è rivelato un ottimo candidato”. Due volte. “Il centrodestra e FdI avevano individuato un’ottima candidatura”. Per questo, aver perso così fa ancora più male. “Dinamiche da Gattopardo”, si era lamentato Miceli, durante la campagna elettorale, sperando non si arrivasse a tanto. E invece. Da settimane i meloniani in giunta vanno tuonando tuonato contro “il comportamento di Turano, che con due piedi in una scarpa non è più tollerabile”. Il coordinatore regionale Giampiero Cannella ha chiesto le sue dimissioni. Il pressing sarebbe arrivato fino a Roma, all’orecchio di profili molto vicini a Giorgia Meloni come la deputata Carolina Varchi. Il governatore della Sicilia ha preso tempo, dicendo che “presto ci sarà un restyling in giunta, più che un rimpasto”. Ma anche l’assemblea di qualche giorno fa, che doveva essere quella decisiva, si è risolta in un nulla di fatto. In segno di offesa, Turano ha lasciato la seduta in anticipo. E tanto è bastato. Come riporta la testata locale Tp24, oltre a lui, per ragioni diverse, sono in bilico altri due assessori – Giovanna Volo alla Salute, Elena Pagana al Territorio. Paradossalmente, rischiano più loro di Mimmo l’equilibrista.
Perché non è soltanto Turano ad attrarre voti – oltre 7mila alle ultime elezioni. Ma soprattutto chi lo protegge. A partire da Luca Sammartino, altro fuoriclasse del trasformismo insulare – negli ultimi cinque anni: Pd, Italia Viva, Lega – che oggi pontifica da vicepresidente regionale. Sono in corso due processi a suo carico per corruzione elettorale. Nel frattempo però, a Catania ha fatto incetta di preferenze: più 20mila. Troppe, spiega il Foglio, per far sì che Salvini decida di entrare in conflitto con Sammartino. Ancora meno Schifani, che lo sopporta e poco più. Il lutto nazionale non aiuta il raggio d’azione di Forza Italia. E in Sicilia il partito è alle prese con fragili equilibri di giunta e altri casi scottanti – come la vittoria al ballottaggio di Roberto Barbagallo, eletto sindaco di Acireale nonostante una condanna in primo grado per richieste illecite a un vigile urbano e le frequentazioni con un clan mafioso appena rivelate da un’informativa del commissariato di Polizia locale. Non il miglior biglietto da visita per giocarsi la carta della moralità contro i sotterfugi della Lega. E dunque Sammartino può permettersi di dire non solo “Turano non si tocca”. Ma anche, con una certa confidenza, che “in un’eventuale analisi tutti dovranno sentirsi in discussione. Io per primo”. E sono ben pochi gli amministratori della regione in grado di accettare la sfida.
Eppure, perché spendersi tanto per Turano? La carta del consenso di cui gode l’assessore spiega solo in parte la sua storia. Nato ad Alcamo, 57 anni, militante dei Cristiani democratici uniti e poi dell’Udc sin dalla sua fondazione. Entra in politica giovanissimo, in regione pure. Nel 2001, durante la campagna elettorale che lo condurrà per la seconda volta a Palazzo d’Orléans, fu finanziato dall’imprenditore Vito Nicastri: lo ha dichiarato Turano stesso, deponendo a uno dei tanti processi che hanno coinvolto il re dell’eolico trapanese. L’ultimo – proprio in queste settimane – ha portato la Procura di Palermo a chiedere 10 anni e 8 mesi per Nicastri, accusato di aver favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Non proprio il cacio sui maccheroni, visto il momento politico di Turano. Che però a Trapani e dintorni ormai può contare su radici profonde. Dal 2008 al 2012 è stato presidente di Provincia, succedendo ad Antonio D’Alì – ora in carcere per favoreggiamento – e sui rapporti col quale Turano, incalzato pure da Report, non ha mai voluto rispondere. Nell’occasione era stato supportato dal centrodestra e da una lista civica profetica: si chiamava “Fratelli d’Italia”, anno quattro avanti Meloni. Ma il suo fortino resta l’Assemblea regionale siciliana, dove attualmente è alla sesta esperienza da deputato. Risale al 2022 invece la decisione di lasciare l’agonizzante Udc per arruolarsi tra le file della Lega. Che andava in cerca di un centravanti di sfondamento nella Sicilia occidentale.
A modo suo, Turano ha sfondato eccome. Al centro della vita di palazzo, ago della bilancia alle elezioni. L’unico versante in cui pure la Lega fatica a proteggerlo – ma visto tutto il resto, rischia di passare sotto silenzio – è proprio la sua sfera di competenza da assessore: è da tempo che i sindacati e gli enti della formazione professionale protestano contro Turano e la giunta Schifani. Ma la situazione è precipitata negli ultimi giorni, con i lavoratori in piazza, esasperati per un blocco degli stipendi che dura da otto mesi. In tutta risposta, Turano si è limitato a ribattere che la responsabilità è da attribuirsi ai gestori dei corsi di formazione. Tra lavate di mani e famose brioches, tra Ponzio Pilato e Maria Antonietta. Addosso gli rimbalza di tutto. Ma Mimmo l’assessore pare fatto di gomma. E gli altri, da Schifani in giù, si turano il naso. Battutaccia consona alla vicenda.