Stefano Bonaga è una persona dalla grande ironia, un uomo estremamente intelligente e anticonformista, un intellettuale trasversale in tutti i sensi, un grande irregolare, un maestro della mia formazione filosofica. Quando avevo 25 anni e frequentavo i master di scienze cognitive a Bologna, durante le lezioni di logica del professor Douglass Hofstadter si metteva seduto tra gli studenti nonostante fosse professore di antropologia; poi, finite le lezioni, io, lui, Hofstadter e Umberto Eco andavamo a cena e continuavamo amabilmente le discussioni, a volte facendo anche le ore piccole. Ho imparato molte cose, ero il più giovane in quel gruppo di “cospiratori irregolari”.
Mi ricordo che una sera finimmo a casa di Diego Abatantuono, se non sbaglio, e io mi misi al pianoforte per dimostrare come si potevano suonare contemporaneamente due brani sovrapposti, nello stupore di tutti e soprattutto di Hofstadter, che disse di non aver mai sentito un «ambigramma musicale». A un certo punto Umberto Eco si mise a cantare una serie di inni nazionali – li conosceva quasi tutti –, persino quello della Groenlandia, e Bonaga fece una richiesta: chiese a Eco di cantare Faccetta nera. Così mi trovai ad accompagnare al pianoforte Umberto Eco che cantava l’inno bandito del fascismo. Se ci fossero stati gli smartphone! Ma non esistevano, erano gli Anni Novanta!
Terminato il corso di studi continuammo a frequentarci e a scriverci, quando passavo da Bologna facevo sempre tappa da Stefano e regolarmente facevamo l’alba a discutere di filosofia, politica, sociologia; sembravano riunioni di carbonari – ci definivamo citoyens, i cittadini – al punto che fondammo un manifesto politico, Il manifesto dei concordi. Eravamo in quattro: io, Bonaga, Margherita Hack e Mimmo Calopresti. I concordi. Il nome era mio, il manifesto lo scrisse lui, prima in latino poi in italiano. Erano gli anni in cui il Consiglio d’Europa stava formalizzando il Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza, e in fondo quel che facevamo noi non era altro che ricerca linguistica … eravamo in pieno “fermento grammaticale”. Quando il “Quadro comune” (QCER) fu terminato, in sostanza, risultò che io ero classificabile un C2 (livello più alto di padronanza) e lui un B2 (livello intermedio). Ecco perché da quel momento cominciò a indispettirsi con me e a patirmi. Ora lancia frecciatine, ma fa parte del suo carattere e del suo “livello linguistico”, e io gli voglio sempre tanto bene.