Stefano Bonaga è il Socrate della sinistra italiana. Non ha scritto nulla, tranne un libretto clandestino e mai presentato in giro, Sulla disperazione d’amore. Tutti lo cercano e vogliono un suo consiglio, ma lui si definisce soltanto «uno sfigato». Ha studiato con i maggiori filosofi francesi del Novecento e ha insegnato da eretico all’Università di Bologna. «Non sono mai stato interessato alle politiche e ai giochi accademici». Lui che della politica ne ha fatto una passione. Lo abbiamo intervistato sull’attualità, dal reato di invasione pensato per contrastare eventi come i rave party, al reintegro dei medici no vax. Gli abbiamo chiesto del futuro della sinistra attraverso i nomi più quotati dell’attuale opposizione: «I nomi non mi interessano, il problema è ontologico». E parlando dei nuovi sottosegretari se la ride. Insomma, un dialogo sul presente del nostro Paese con uno dei pochi filosofi italiani.
Il governo ha creato un nuovo reato per punire l’organizzazione di rave party e in generale dei raduni considerati pericolosi. Lo ha chiamato “reato d’invasione” e si rischiano fino a 6 anni. Cosa ne pensa?
Un provvedimento sciocco e indecente. Sciocco perché ci sono già le leggi che impediscono che si occupino proprietà pubbliche o private senza permesso. Allargarlo a valutazioni del tutto soggettive come “pericoloso”, poi, permette di pensare che qualunque adunata possa essere potenzialmente pericolosa. Oltre a essere una legge populista, nel senso di un populismo che è attento all’ultima notizia che circola per prenderla e svuotarla politicamente, c’è una questione di identitarismo. Poiché “ordine” è una vecchia parola della destra, e questo è uno degli atti che segnala il riconoscimento di identità rispetto agli elettori fedeli.
E sulla durata della pena?
Una cosa comica. Ci sono reati ben peggiori per cui si prende di meno o lo stesso. Organizzare un rave party e prendersi 6 anni mi sembra francamente assurdo. Anche qui, la pena ha un senso simbolico utile a recuperare un po’ di identità di destra.
Un altro provvedimento che ha fatto molto discutere riguarda l’ergastolo ostativo, che prevede la negazione di qualunque beneficio penitenziario ai condannati per mafia, terrorismo e associazione a delinquere. Che piega sta prendendo la giustizia in Italia?
Non sono un esperto, ma la giustizia è per sua stessa natura piena di limiti. La giustizia vale per tutti quando ciascuno è diverso dagli altri. La stortura c’è sempre ed è strutturale. Ma ricordo che da un punto di vista costituzionale la pena ha anche funzione rieducativa e non solo punitiva. Quindi, al di là del fatto che c’è l’ergastolo, un fine pena mai non può limitarsi a considerare se il soggetto condannato se lo sia meritato o meno. È chiaro che se hai le prove che un mafioso anche da dentro il carcere mantiene i suoi rapporti e fa andare avanti la macchina criminale di cui è a capo, è difficile che tu abbia voglia di farlo uscire. Ma se, appunto, i rapporti li mantiene anche da dentro, non vedo come possa essere utile l’ergastolo ostativo. Di istinto direi che tendenzialmente la linea giustizialista non premia mai dal punto di vista sociale.
Ultimo intervento che ha innescato la bufera. Il reintegro del personale sanitario no vax. Il governo vuole difendere la libertà di espressione?
Che cos’è la libertà? Io non credo neanche nella libertà del volere, che si può attribuire solo all’anima, cioè a qualcosa di non fisico, di non causato. La libertà di volere vorrebbe un atto divino, che dal nulla può produrre qualcosa. Io propongo di invertire la concezione tradizionale secondo cui la potenza è figlia della libertà, e chiamare libero ciò che è potente. La libertà è il risultato delle norme e delle condizioni sociali. Non è che tu puoi passare con il semaforo rosso per sentirti libero. Non è libertà dire ai vaccinati che possono infettare gli altri. Non si poteva certo consentire ai medici di essere pericolosi in una zona del mondo chiamata ospedale, dove si è a contatto con i più fragili della società. Sarebbe stato gravissimo. Dopodiché, il reintegro anticipato rispetto al 31 dicembre è un altro atto simbolico che ha almeno due effetti: in primo luogo, quello di raccogliere i consensi di tutti i no vax; in secondo luogo, quello di dimostrare una presunta libertà assoluta indipendentemente dalle conseguenze.
Mentre altri si sono vaccinati.
Con questa scelta del governo tutti quelli che hanno mantenuto fede, anche con delle difficoltà, a una norma, ora vedono premiati quelli che non lo hanno fatto. Un messaggio terribile dal punto di vista della legalità pubblica.
Più che della vittoria (annunciata) della destra si è parlato di sconfitta della sinistra. Dove hanno sbagliato in questi anni?
Il paradigma della destra consiste in una richiesta del consenso in favore di un’autonomia del governo. Quello della sinistra, invece, è una richiesta di partecipazione attiva alla costruzione della società, di cui il governo è una delega e, dunque, una potenza. Creare norme non è l’unica attività politica. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia, uscita sconfitta, riuscì a rigenerarsi in quindi anni. Ai tempi ci fu un processo di coinvolgimento dei cittadini. Ora abbiamo chi, come Renzi, sostiene che a contare sia solo lui, insieme alla segreteria del Partito. Così non si va avanti. Intendiamoci, non odio il PD e con Nadia Urbinati abbiamo già fatto presente questi limiti. Però è un partito che, tra le altre cose, non solo ha votato la peggior legge elettorale di tutti i tempi, ma ha cancellato anche il finanziamento pubblico ai partiti.
I partiti dovrebbero ricevere soldi pubblici?
Non sarà nella lettera della Costituzione, ma almeno nello spirito sì. I gruppi, anche privati, che si occupano di costituire il nostro Parlamento, e dunque hanno una funzione costituzionale fondamentale, non possono essere lasciati senza soldi.
Comunque la sinistra ha proposto un programma ai suoi elettori.
Se si pensa solo all’offerta politica, una terminologia da mercato, da grandi magazzini, e questa ogni volta cambia, come se i cittadini fossero solo consumatori, restiamo comunque lontani dal rispettare il paradigma di cui ti parlavo. In Grecia c’erano i polítēs, i cittadini che si interessavano alla politica, e gli idiótes, che invece ne restavano fuori. Oggi la politica tratta i polítēs da idiótes.
I protagonisti di questa sinistra vogliono ricostruire il fronte di opposizione. Tra i nomi ci sono De Magistris, Enrico Letta, ancora una volta D’Alema. Un rinnovamento può davvero passare per queste figure?
C’è una domanda più cogente. Può uno pensare di andare all’Olimpiadi senza allenarsi? Può diventare politico qualcuno solo per scelta interna, quando un tempo si facevano trent’anni di attività sul territorio, di politica sul campo? Prima si entrava in Parlamento dopo aver sviluppato idee e iniziative concrete. Un leader può essere due cose: o affianca e promuove un processo collettivo necessario, o rappresenta le idee collettive senza un processo reale di costruzione della società. Dovremmo protendere per il primo tipo.
Quali scelte ha pagato il PD in campagna elettorale?
Un paradosso incredibile di queste elezioni riguarda la denuncia costante del pericolo di un ritorno al fascismo per poi correre da soli, rifiutando partiti che avevano il 17% solo perché non votarono la fiducia a Draghi. Però poi si sono uniti con una bravissima persona come Fratoianni, che aveva votato un’infinità di volte contro l’ex premier. Allora lo fate apposta?
Poi c’è la legge elettorale di cui parlava.
Terribile. Non solo, c’è stata la riforma del numero dei parlamentari e si rendeva necessaria una nuova legge elettorale che non è stata fatta. Si è arrivati alle elezioni con una legge bruttissima, punitiva per tutti quelli che non si mettono insieme. E la destra, di cui due terzi erano in maggioranza e un terzo all’opposizione, ha vinto compattandosi, mentre le forze che erano unite al governo si sono disgregate. Ma allora scherzate o fate sul serio?
C’è anche lui, Giuseppe Conte, che si pensa possa essere al timone dell’opposizione.
Una volta l’ho definito un miracolato miracoloso. Ha portato 200 e più miliardi dall’Europa, ha gestito bene il disastro della Pandemia. Ma, diciamo così, si è trovato a sinistra con un movimento che storicamente si dichiarava né di destra né di sinistra. Ha riempito un vuoto. Ma quello che si rende necessario, oggi, è ricostituire i partiti su nuove basi partecipative. E i politici dovrebbero imparare come ascoltare i cittadini. Bisogna tornare alla potenza, chiedere: cosa potete fare voi? C’è un’incredibile potenza implicita nel tessuto sociale, studenti intelligenti, industriali innovativi, volontari (questi ultimi mai riconosciuti dalla politica, mentre fanno vera politica sui corpi).
Un nuovo modo di pensare la democrazia.
In un libretto con vari contributi di altri, ho parlato di isocrazia: tutti i cittadini hanno ugualmente potere. Non eguale potere, ma ugualmente potere. Se non ricominci a recuperare la potenza sociale, che non è su Marte ma qui sulla Terra, sarai sempre e solo quello che chiede fiducia per poi vedersela togliere poco dopo, con una dispersione della potenza sociale insopportabile e inconcepibile. Anche perché il tema principale della politica in Occidente, specialmente in Italia, non è la corruzione, ma l’impotenza (di cui la corruzione è un epifenomeno, insieme all’indifferenza).
Bonaccini sarebbe un buon segretario per il PD?
Siccome ho fatto una dichiarazione di principi mi baso su questo. Bonaccini non mi sembra abbia mai rivendicato nulla di simile. La sua capacità di governo dell’Emilia-Romagna è buona, ma l’ultimo segnale che ha dato Bonaccini è stato incalzare affinché il PD possa riuscire a trovare un segretario entro marzo. Come se la nomina del segretario sia importante per i cittadini, o risolutiva dei problemi del nostro Paese. È indicativo dell’attuale situazione. Infatti, uno dei temi più impressionanti riguarda la possibile fine di questo governo e quello che potrebbe accadere dopo.
Secondo lei?
Non vedo nessun avanzamento nella direzione della costruzione dei sempre più necessari corpi intermedi in una società complessa come la nostra o, come dicono i sociologi, funzionalmente differenziata. Non ci sono più strati o classi in cui gli interessi sono comuni e dunque è necessario sapere intercettare le differenze ben più sfumate.
Cosa intende?
Faccio sempre questo esempio. Prendiamo due operai della stessa fabbrica. Uno ha la casa di proprietà vicino alla fabbrica, l’altro è pendolare e vive in affitto con un figlio disoccupato. Non c’è unità, dal punto di vista del lavoro, della scuola, dei trasporti. O c’è una politica anche locale in grado di compensare le difficoltà e i limiti specifici, o si va avanti con il mito della rappresentanza e con la critica superficiale di chi giudica i rappresentanti non all’altezza della rappresentanza in sé. Bisognerebbe essere più radicali. Al di là di quella normativa, necessaria a livello parlamentare, la rappresentanza è un concetto completamente vuoto proprio perché c’è una complessità tale negli interessi, che richiede sempre più politica attiva e sempre più lavoro sul territorio.
In Italia pensano solo a farsi votare?
Le elezioni sono una condizione necessaria ma non sufficiente per una democrazia, a tal punto che tutti i grandi dittatori del Novecento sono stati votati, da Mussolini a Hitler, da Ceaușescu a Putin. Insisto: bisogna tornare al primato della politica, che non è una manciata di post sui social o i litigi in TV, ma azione. La politica è occupazione di spazi.
Crede che Elly Schlein possa dare nuova linfa a un centrosinistra morente?
Una brava ragazza che ha fatto politica sul territorio, anche se con forza minima. È stata premiata come vicepresidente della regione e ora è stata trasferita in Parlamento. Ma quello che può fare lei è quello che potrebbe fare una persona da sola.
Non potrebbe guidare lei il PD?
Alcuni lo vorrebbero, ma anche questo dare spazio alle nuove generazioni … [sospira] Le nuove generazioni non portano la politica nel cuore con i libri di testo che hanno appena abbandonato. È questione di espansione dell’attività politica, di sviluppo della cittadinanza attiva. Io sono maniaco, fissato, ormai insopportabile a me stesso, perché lo ripeto da tempo, ma il gioco è lì. Cosa puoi cittadino? E non “Cosa vuoi?”.
Nuovi sottosegretari. C’è Lucia Borgonzoni alla cultura.
[Ride] Una che dice che l’Emilia-Romagna confina con il Trentino e con l’Umbria e che cinque anni fa ha detto che l’ultima volta che aveva letto un libro era tre anni prima … è uno schiaffo. Beccatevi mo’ anche Lucia Borgonzoni. È stata pure sconfessata da suo padre, un vecchio comunista.
C’è anche Bignami.
Che faceva le feste vestito da nazista. Ragazzi, non viene neanche voglia di rispondere.
C’è anche Sgarbi.
Sgarbi dovrebbe essere Ministro alla gestione su due secoli di cultura pittorica italiana visuale. Di questo ha competenza.
Un’area molto circoscritta.
Sì.
Sgarbi ha proposto Morgan per un dipartimento dedicato alla musica.
Morgan è stato un mio caro amico. Una persona molto in gamba, intelligente e colta. Adesso è dentro una specie di follia narcisistica imbarazzante. Peccato, perché è un ragazzo con una bella anima. Di musica è espertissimo a tutti i livelli.
La sinistra è divisa sulla questione ucraina. C’è chi è per l’invio di armi e chi critica la guerra e l’atteggiamento atlantista. Lei da che parte sta?
Io ho deciso di tacere per sempre su questa guerra e non mi permetto di dire neanche con me stesso chi abbia ragione o meno. Trattasi di una tragedia in senso greco, perché da qualunque parte la vedi è un disastro. Da un certo punto di vista è ragionevole aiutare una popolazione che è stata invasa da un Paese straniero sul proprio territorio; allo stesso tempo è evidente come l’Occidente abbia trascurato i processi precedenti, come quello del 2014. In un certo senso è chiaro che l’invasore abbia sempre torto, ma è talmente complessa e tragica la situazione, che ho detto a me stesso non ne parlo. Assisto impotente a una tragedia.
Ci sono dei filosofi da cui la sinistra (non solo italiana) potrebbe ripartire?
Sì, Marx. Innanzitutto però bisognerebbe capire se la sinistra legga ancora i filosofi. Però, ecco, su tutti Marx, con la sua definizione di comunismo, quasi infantile, che suona così: a ciascuno sarà dato secondo le sue necessità, a ciascuno sarà chiesto secondo la propria capacità. Oggi è l’impostazione filosofica più necessaria per la politica.
E uno vivo?
Con la potenza di Marx no. Potrei dire gli spinozisti, da Deleuze a Rocco Ronchi. Tutti quelli che sanno che il tema della politica è la potenza. Non c’è nessun idealismo in politica. O le idee sono promotrici di azioni o sono inutili.
Lei è stato un pioniere della Rete democratica. Oggi ci sono i social network e passa da loro la costruzione del consenso. Vince chi investe di più (o meglio) nella comunicazione. Ma il dibattitto pubblico online è spesso ostaggio di fake news rilanciate anche dai nostri politici. C’è un antidoto al populismo online?
Avevo proposto – anche alle Sardine – AlterNet, che parte dalla premessa che la rete è un mondo e che il problema da porsi, quindi, è come stare al mondo. L’uso di AlterNet potrebbe consentire una gestione della rete per la quale ogni computer in mano a un cittadino qualunque può diventare uno strumento di attività politica, dal fact-checking al dibattitto sulle norme, alla diffusione di proposte e di iniziative. Questo fa parte di un’educazione al mondo che parte con l’homo sapiens e arriva fino a noi. La domanda è sempre la stessa: come stare al mondo? Sappiamo che l’anarchia assoluta dei messaggi non è giusta, le stupidate non sono buone. Questo soprattutto oggi, che non esistono più strutture solide contro cui ribellarsi, come la Chiesa, la scuola o la famiglia. Un tempo bisognava argomentare per rifiutare la fede e il resto.
Oggi non si argomenta più?
Queste solide agenzie di autorevolezza sono in crisi, basti pensare al Papa che dice una cosa e a Salvini che ne dice un’altra con il rosario in mano, oppure ai genitori che picchiano i professori che hanno bocciato loro figlio, o ai bambini che a tre anni hanno già uno smartphone sulle mani. In questa fase la società liquefatta ha bisogno di solidificarsi, anche tornando a parlare di scuola o di famiglia, qualunque famiglia essa sia. E naturalmente la politica deve tornare un luogo di dibattitto e di iniziativa. Bisogna imparare a esistere nel mondo 2.0, il Metaverso, l’infosfera.
Parliamo di merito, uno dei cavalli di battaglia della propaganda di Giorgia Meloni. Che rapporto ha un filosofo con questo concetto?
Il merito è accettato dal buon senso. È evidente che il merito va promosso e va premiato. Non è che una critica a questa nuova dizione del ministero [dell’istruzione e del merito, ndr] sia un elogio del demerito. Anche i grillini dell’uno vale uno sanno che uno qualunque non può andare a insegnare fisica o a operare in ospedale. Uno vale uno a livello di cittadinanza, ma non in campo operativo. Anche lì, state buoni. Il merito è implicito nel buon funzionamento di una società, ma o si tiene conto delle condizioni di partenza, così che si sviluppi ragionevolmente una cultura del merito, o altrimenti è un valore ingiusto, perché ci sarà gente nelle condizioni (per esempio economiche) di meritarsi qualcosa e gente che non potrà neanche aspirare a meritarsi nulla.
I politici si meritano di stare dove sono?
A Le Iene hanno mostrato un servizio in cui si facevano domande su Patria, famiglia e religione, e la gran parte degli esponenti di destra non sapeva rispondere, nonostante sia stato il loro leitmotiv. Ma questo perché un tempo la politica la facevi con l’esperienza e poi con lo studio nelle scuole di partito. C’era una formazione a 360 gradi e consapevole. Non era solo teoria per diventare politologi e salire in Parlamento.
Toni Negri una volta ha scritto che ogni vent’anni si presenta l’occasione per una nuova rivoluzione. Prima il ’68, poi la fine degli Anni Novanta, culminati con il G8 di Genova nel 2001. Sente aria di rivoluzione?
Dobbiamo intenderci su cosa sia la rivoluzione. Oggi quale sarebbe il Palazzo d’Inverno? I poteri sono decentrati a livello impressionante; quello economico, quello tecnologico, quello finanziario. Dal mio punto di vista la rivoluzione oggi sarebbe l’inversione del rapporto libertà-potenza, passando dal domandare cosa si vuole al chiedere cosa, tu cittadino, puoi fare. Tieni anche presente che il comunismo non c’è mai stato. Marx ne aveva previsto l’inverarsi nei Paesi altamente industrializzati come la Francia e la Germania del tempo. Invece si è sempre provato a realizzarlo in Paesi agrari come Russia e Cina. Ci sono stati partiti comunisti, ma non comunismo. Paradossalmente adesso, che c’è uno sviluppo economico clamoroso e una possibilità di redistribuzione enorme, si può concepire il comunismo secondo la definizione di Marx, iniziando a chiedere ai cittadini di partecipare alla costruzione della società, e non pagando le tasse o andando soltanto, una volta ogni cinque anni, a mettere una croce su un foglio. Ma la rivoluzione dovrà essere senza fucili e non potrà avvenire a livello planetario.