Il nuovo Codice della strada, in vigore dal 14 dicembre, ha sollevato un problema cruciale per migliaia di pazienti in cura con farmaci a base di cannabis terapeutica, come Thc e Cbd. La norma prevede pene severe, tra cui la sospensione della patente per due anni, multe fino a 6mila euro e l’arresto fino a un anno, per chi risulta positivo al test antidroga, senza distinguere tra uso terapeutico e ricreativo. Questa situazione ha portato diverse associazioni di pazienti e avvocati a inviare una diffida al governo, chiedendo la convocazione urgente, entro il 20 gennaio, di un Tavolo tecnico per definire deroghe specifiche. Tra le associazioni coinvolte figurano Pazienti Cannabis Medica, Meglio Legale e Cfu-Italia. La diffida segnala come l’attuale normativa penalizzi ingiustamente soggetti fragili, spesso affetti da patologie gravi come sclerosi multipla, dolori cronici e depressione, costretti a rinunciare alla guida per il timore di sanzioni. Una questione che aveva sollevato polemiche, alle quali si era associato anche Vasco Rossi che aveva criticato il ministro Matteo Salvini.
Il problema principale risiede nella modalità di verifica dell’idoneità alla guida: il test rileva la presenza di cannabinoidi nell’organismo, ma non consente di distinguere tra chi è sotto effetto del farmaco e chi ha assunto una dose terapeutica giorni prima. Le tracce di Thc, infatti, possono rimanere nel corpo fino a tre giorni, ben oltre la durata degli effetti psicotropi. Il Ministero delle Infrastrutture, guidato da Matteo Salvini, ha cercato di rassicurare i pazienti con dichiarazioni che parlano di valutazioni "caso per caso". Tuttavia, la legge non prevede alcuna deroga, lasciando migliaia di pazienti in una situazione di incertezza. Se il governo non convocherà il Tavolo tecnico, le associazioni sono pronte a intraprendere una class action per danni fisici e morali. L'obiettivo è ottenere una normativa più equilibrata, che tuteli la sicurezza stradale senza ledere i diritti dei pazienti. La questione evidenzia una lacuna normativa e un mancato dialogo tra istituzioni e rappresentanti dei pazienti, aggravato dall’assenza di convocazioni del Tavolo tecnico istituito nel 2021. Ora il governo è chiamato a decidere: affrontare il tema con pragmatismo o entrare in conflitto con una categoria già profondamente vulnerabile.