Cinque anni fa l'Italia era in cima ai pensieri di Xi Jinping. Nel marzo 2019, il presidente cinese atterrava a Roma per celebrare, insieme all'allora premier Giuseppe Conte, l'ingresso dell'Italia nella Nuova Via della Seta. Soltanto dopo aver visitato l'Altare della Patria e il Quirinale - oltre a Palazzo Reale in quel di Palermo - Xi volava a Parigi per incontrare Emmanuel Macron. Oggi, al contrario, nell'agenda del massimo leader di Pechino non c'è la minima traccia dell'Italia. Messa in ombra da Francia, Serbia e Ungheria. Risultato: mentre l'uomo più potente del mondo cena insieme a Macron e Ursula von der Leyen all'Eliseo, visita Belgrado e stringe, a Budapest, la mano di Viktor Orban, Giorgia Meloni non può far altro che prender atto della sua esclusione. E osservare tutto a debita distanza. Quella stessa distanza venutasi a creare tra Italia e Cina in seguito alla scelta atlantista della stessa premier italiana di abbandonare la Via della Seta.
Schiaffi in faccia all'Italia
A Palazzo Chigi e alla Farnesina, c'era chi ripeteva la rassicurante storiella secondo cui l'aver archiviato il progetto infrastrutturale sponsorizzato da Xi in persona non avrebbe in alcun modo compromesso i rapporti tra l'Italia e la Cina. Il gotha della diplomazia italica sosteneva che una mossa del genere fosse necessaria per inaugurare una nuova era nei rapporti con il Dragone. E che, soprattutto, un passo del genere non avrebbe infastidito il governo cinese.
Certo, la Cina non ha scatenato una guerra commerciale contro l'Italia, né i suoi massimi funzionari hanno lanciato dichiarazioni al vetriolo nei confronti del governo Meloni. In silenzio, e senza clamori di sorta, Xi ha tuttavia preferito aprire - a suo modo - un nuovo capitolo nella diplomazia con l'Europa. Come? Scegliendo la Francia come interlocutrice prediletta della Repubblica Popolare Cinese.
E così, se grazie alla Via della Seta Roma poteva sperare – giocando al meglio le sue carte – di scalfire il dominio europeo franco-tedesco, in seguito alla decisione del governo Meloni di sposare la causa statunitense, le porte cinesi si sono progressivamente chiuse. Sono rimaste aperte diverse finestrelle per continuare a fare affari con Pechino, ma che niente hanno a che vedere con gli immensi corridoi che i leader di Parigi e Berlino hanno saputo creare per consentire alle rispettive aziende nazionali di stringere accordi con il Dragone. Dunque, ammesso e non concesso che agli occhi della Cina un premier italiano avesse mai potuto sperare di ottenere una corsia preferenziale rispetto ad un cancelliere tedesco o ad un presidente francese, oggi quelle speranze sono evaporate come neve al sole.
La punizione di Xi
Francia, Serbia e Ungheria: eccoli i tre schiaffi che la Cina ha sferrato in pieno volto all'Italia. Sono schiaffi silenziosi ma che fanno male, malissimo. Soprattutto ad un governo, come quello a trazione meloniana, che pensava di poter cambiare le carte in tavola della politica europea. Xi ha sostanzialmente relegato Roma ai margini dei principali dossier economici e politici dell'Unione europea, lasciando intendere che gli “affari da grandi” sono una questione che riguarderanno, d'ora in avanti, lui più pochi altri pragmatici leader del Vecchio Continente. Al momento: Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz (fresco di un viaggio oltre la Muraglia).
Meloni, in realtà, ha avuto la chance di rientrare in pista. In occasione del G20 di Bali, lo scorso novembre, Xi aveva invitato la premier italiana a visitare la Cina. A quel ramoscello d'ulivo sarebbe seguita soltanto la scelta dell'Italia di non rinnovare l'accordo relativo alla Nuova Via della Seta. Uno smacco che il leader cinese ha incassato senza colpo ferire, limitandosi a cambiare partner prioritari in seno all'Ue.
"Su una cosa sono stata, sono, e sarò sempre chiara. Intendo guidare un governo con una linea di politica estera chiara e inequivocabile. L'Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell'Europa e dell'Alleanza atlantica", dichiarava Meloni nell'ottobre 2020. "I Paesi europei non devono essere vassalli degli Stati Uniti. L'Unione europea deve costituire un terzo polo di fronte a Cina e Usa", affermava invece nel 2020 Macron (non senza entrare in contraddizione con altre prese di posizione). Da una parte la retorica meloniana, dall'altra i sogni autonomisti macroniani: la preferenza cinese per la Francia anziché per l'Italia sta tutta in questo dualismo. Nell'ottica di una nuova guerra fredda tra Cina e Stati Uniti, Xi considera la Francia un Paese più indipendente dell'Italia nei confronti dei diktat di Washington. Uno schiaffo che fa male a chi pensava di poter influenzare la linea europea sulle questione più scottanti.