“Le mie foto hanno fatto il giro del mondo, ma i miei piedi non hanno potuto toccare la mia Patria”. Si presenta così, su Instagram, il fotografo palestinese Motaz Azaiza. Con i suoi scatti da oltre 300 mila “like” - e oltre 12 milioni di follower in tutto il mondo - il reporter che documenta le sofferenze degli abitanti della Striscia di Gaza è indubbiamente uno dei punti di riferimento della cruenta guerra in corso tra Hamas e Israele. Un conflitto che non è solo militare ma che è anche fatto di informazione di propaganda incrociata, da una parte e dall’altra e che i palestinesi - o meglio, Hamas - sembrano stiano vincendo. Un po’ come fecero gli ucraini nei primi successivi all’invasione russa, dove riuscirono a sovrastare Mosca nella guerra “ibrida” dell’informazione. Grazie anche al supporto di Al-Jazeera, canale di all news di proprietà dell’emirato del Qatar, maggiore sponsor di Hamas, ora sono i palestinesi a prevalere sulla narrazione israeliana, polarizzando l’opinione pubblica occidentale sul sopporto a Tel Aviv. La prova: il filmato di Azaiza - diventato presto virale - nel quale piange a dirotto dopo il lancio di razzi da parte di Israele, che ha fatto letteralmente il giro del mondo. "Sono davvero preoccupato di andare lì e di vedere cosa è successo alla mia strada, alla mia casa e al mio vicino", ha detto il reporter. "Mi mancano i buongiorno”. Impossibile non provare empatia.
“È un genocidio”: l’accusa del reporter che teme di morire sotto le bombe
Tramite il suo seguitissimo account, Motaz Azaiza denuncia - a suo dire - i crimini di guerra di Tel Aviv nella Striscia di Gaza. “Le forze di occupazione israeliane - sosteneva in un post del 9 ottobre - hanno commesso un massacro nel campo profughi di Al Shati, a ovest di Gaza”. Nessun post di condanna, a onor di cronaca, circa l’attacco terroristico di Hamas nei confronti di Israele. “Siamo al 25° giorno e il genocidio è ancora in corso... tutto ciò che chiediamo è un cessate il fuoco, vogliamo che questo incubo finisca...” afferma Motaz Azaiza in un post del 1° novembre pubblicato con una collega, byplestia, anche lei affermatissima sui social. Come nota The National News, per i giornalisti dell’enclave palestinese il campo di battaglia è tutto intorno a loro. Anche il semplice compito di uscire per un incontrare qualcuno o comprare del cibo significa rischiare la vita. Secondo il Sindacato dei giornalisti palestinesi, dall'inizio della guerra, 23 giornalisti sono stati uccisi e diverse decine sono rimasti feriti. Un tragico bilancio che supera il numero dei giornalisti uccisi durante la Seconda Intifada, la rivolta contro l’occupazione israeliana che scoppiò il 2000 e il 2005, durante la quale furono uccisi 14 giornalisti. "Non sento che arriverò alla fine, quindi vi prego di perdonarmi", ha detto Azaiza in un video la scorsa settimana, facendo eco ai timori di molti suoi colleghi. A giudicare dai numeri, non si tratta di una paura infondata.
La collaborazione con l’Onu
Perché tutta questa fama? Innanzitutto perché Motaz Azaiza è sul campo, nella Striscia di Gaza, insieme a pochi altri coraggiosi influencer e reporter. E documenta, in tempo reale, ciò che accade. In questa prima fase, i media e le persone comuni hanno “fame” di materiale. Poi, com’è accaduto in Ucraina, con l’andare del tempo questo bombardamento mediatico creerà assuefazione, con il rischio di diventerà insensibili. Le statistiche dei morti ci sembreranno freddi numeri, e non persone, con le loro storie e loro vicende personali.
Secondo motivo per il quale Azaiza è così famoso è che è “sostenuto” dall’Onu. E questo gli consente di godere di grande autorevolezza e credibilità. “Per favore, non limitatevi a guardare. Donate ora a @unrwausa e diffondete la notizia. Potete contribuire a salvare vite di rifugiati tramite il link nella bio. Grazie, e per favore tenete Gaza nelle vostre preghiere” scrive Azaiza in un altro post pubblicato su Instagram. Il fotografo collabora attivamente con l’Unrwa, acronimo che sta per “United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East”, un'agenzia delle Nazioni Unite istituita dall'Assemblea Generale nel 1949 con il mandato di fornire assistenza umanitaria e protezione ai rifugiati palestinesi registrati nell'area di operazioni dell'Agenzia, vale a dire la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, la Striscia di Gaza, la Giordania, il Libano e la Siria, “in attesa di una soluzione giusta e duratura alla loro difficile situazione”.
Chi è Motaz Azaiza
Prima del 7 ottobre 2023, in pochi lo seguivano e lo conoscevano, almeno in Occidente. Da allora, la sua pagina Instagram è cresciuta a una ritmo di oltre 300 mila follower al giorno. È stato uno dei primissimi, infatti, ad arrivare nel quartiere di al-Rimal a Gaza City, poche ore dopo che i bombardamenti israeliani l’avevano praticamente raso al suolo. Azaiza si è laureato all’Università Al Azhar di Gaza, e ha lavorato inizialmente come freelance. In passato, ha collaborato con diverse realtà editoriali come Paltel, l’organizzazione no-profit Médecins du Monde Suisse, per MintPress, Abc News, Tra World, Nawa for Culture and Arts Association. Ora lavora per la già menzionata agenzia delle Nazioni Unite, l’Unrwa. Domanda che molti si potrebbero porre, a questo punto: è un giornalista indipendente da seguire ciecamente? È una sorta di reporter embedded e diffonde contenuti - indubbiamente di qualità e reali - ma altrettanto di parte. Ovvero, non offre - forse perché non può nemmeno farlo - una visione a 360 gradi del conflitto in corso. Nè dà ai suoi follower uno spunto critico su tutto quello che ci sarebbe da dire su un’organizzazione come Hamas, ad esempio. Nulla di male, s’intende: non è il suo ruolo, e nessuno può permettersi di giudicare chi è sul campo e vede i propri cari e amici morire, e svolge il proprio lavoro con grande coraggio e onestà intellettuale. L’importante è essere consci e consapevoli che per avere una panoramica più ampia di ciò che accade, non si ci può limitare ai suoi video strazianti. Serve (anche) altro per capirci qualcosa.