Nonostante le tensioni in Ucraina e quelle in Medio Oriente, l’Europa sembra essere irremovibile: la tabella di marcia della transizione ecologica non si ferma. La politica green della Commissione europea corre a passo spedito verso il processo di decarbonizzazione che mira all’abbattimento dell’utilizzo di carbone, gas e petrolio. Nel frattempo la situazione in Israele ha causato l’aumento delle quotazioni di petrolio e del gas: si tratta di un incremento importante che comporta delle ripercussioni sui prezzi e, come spesso accade, sono i consumatori finali a dover pagare. Il rischio è chiaro: potrebbe verificarsi un vero e proprio choc a livello energetico che avrebbe delle conseguenze forti sia a livello economico che geopolitico. Bisogna poi considerare (o meglio, bisognerebbe…) che anche il sistema produttivo è vittima di questa politica.
Fanno riflettere le dichiarazioni (riportate su La Verità) di Haitham al Ghais, segretario generale Opec, che durante il report World Oil Outlook 2023 ha affermato: “Le richieste di fermare gli investimenti in nuovi progetti petroliferi sono fuorvianti potrebbero portare al caos energetico ed economico”. A questo proposito, secondo le previsioni Opec per soddisfare la domanda di petrolio a lungo termine servirebbero investimenti per 14 trilioni di dollari nel settore, ossia di circa 610 miliardi di dollari all’anno. Inoltre la richiesta a livello globale potrebbe ammontare a 116 milioni di barili al giorno entro il 2045, ovvero 6 milioni in più rispetto al 2022. e potrebbe pure esserci un incremento ancora più elevato.
In questo frangente si comprende quanto la politica estremista europea devota alla transizione ecologica sia frutto di un’ideologia che non abbraccia le esigenze dell’attuale situazione economica. Dovrebbe far riflettere che realtà come India, Cina, Africa e Medio Oriente ignorino completamente le politiche ecologiste a favore di una crescita economica. L’Opec specifica inoltre che nel 2028 la domanda a livello globale di petrolio arriverà a 110,2 milioni di barili al giorno, ovvero un surplus di 10,6 milioni se confrontati con lo scorso anno, e così l’Europa non potrebbe coprire le necessità del sistema economico, tantomeno se continuerà nella direzione della decarbonizzazione. C’è da dire però che ci sono dati contrastanti sul futuro mondiale in ambito energetico: per esempio l’Aie, acronimo di Agenzia internazionale dell’energia, afferma che la domanda di carbone, petrolio e gas scenderà nel momento in cui le politiche green entreranno in vigore.
L’analisi del presidente di Nomisma energia Davide Tabarelli è però allarmante. Sentito da La Verità, ha detto che, “se la guerra in Israele dovesse allargarsi, sarebbe un pericolo per il settore energetico. Lo scenario peggiore sarebbe quello di una doppia carenza di forniture energetiche, dalla Russia e dal Medio Oriente. E tutto questo mentre l’Europa continua a perseguire una politica contraria ai fossili, disincentivando gli investimenti in questo settore. È un mix esplosivo”. Sono affermazioni forti che fanno riflettere, soprattutto se consideriamo che l’Italia ha lasciato Mosca in qualità di fornitore di gas sostituendola con l’Algeria che, ricorda Tabarelli parlando del paese nordafricano, “ha espresso una posizione ben precisa a favore di Hamas. Questo dimostra che la situazione non è allegra. È passato un anno e mezzo dall’inizio della guerra in Ucraina e l’Europa ha fatto ben poco per far fronte alla crisi energetica, a parte qualche rigassificatore. La politica della Commissione continua a demonizzare le fonti fossili, prosegue nella strategia della decarbonizzazione”. In effetti l’Italia si trova in una situazione critica, la Commissione europea detta una linea chiara in merito alle politiche green che, però, vanno in netto contrasto con quella che è la situazione economica e geopolitica a livello globale. Il numero uno di Nomisma ha poi affermato: “Le regole di Bruxelles sulla tassonomia verde, su ciò che deve essere considerato un investimento sostenibile e che consente di fare un bilancio di sostenibilità, vietano gli investimenti in fossili”. In questo frangente resta da capire come la Commissione europea pensa di far fronte alle esigenze future mantenendo una linea pro green in un contesto di estrema incertezza.