Il vero nemico dell’Occidente oggi sono gli ultra(s) progressisti. Solitamente corrispondono a un profilo specifico: ex-comunisti, ad oggi lasciatisi ammaliare dall’ideologia del progresso a tutti costi. Ma l’ultra(s) progressista non è (più) un comunista (il comunismo è una cosa seria). Spesso sono professori universitari, giornalisti, figli d’arte, attori, “intellettuali” acclamati o autoproclamati, ma anche persone comuni istruite, dotate di “ragione”, che sono solite lanciarsi in improbabili analisi di cause e concause, analogie e differenze, tutti irrimediabilmente anti-storici in quanto storici, tutti razionalmente profondi su ciò che è razionalmente superficiale, ammantati della luce di una “ragione” legata però indissolubilmente alla “spinta” delle innovazioni tecnologiche, al “drift” del progresso che è anche un “drift” della morale, un progredire verso nuovi orizzonti di bontà, di compassione, di philia per il prossimo inteso sempre come l’assolutamente Altro, come ciò che è esterno, ciò che non appartiene al “suolo” (parola da aborrire, quasi quanto “sicurezza”), alla “tradizione”, alla cultura d’origine. Ciò di cui non si avvedono però è che l’esito dei loro ragionamenti non è affatto razionale. Anzi è paradossale. Il motivo è che al loro detto si accompagna anche sempre (e soprattutto) la capacità del non-detto di venire fuori, di emergere, andando anche contro quelle che sono le intenzioni epidermiche dei loro così ben argomentati discorsi. L’unica costante che emerge è l’odio indiscusso, o nei casi migliori la mal sopportazione, per l’Occidente e ciò che oggi essere occidentali comporta. Di questa avversione verso l’Occidente la filosofia ha grandi colpe. Ma il punto qui non è discutere l’anti-occidentalismo di una certa filosofia. Quello che conta è che questo sentimento negli ultra(s) progressisti rimane sempre sottaciuto, nascosto, velato. Sforzandosi un poco è possibile riscontrarlo tuttavia nelle loro premesse, nelle prese di distanze (“Hamas va condannato in quanto gruppo terrorista ma…”), in tutto ciò che è preliminare al loro detto, che diventa dunque del tutto irrilevante.
L’ultra(s) progressista è colui che meglio di tutti ha compreso il motto heideggeriano: il silenzio è una possibilità del discorso. Ciò vuol dire anche che il non-detto, l’omesso, ha pari dignità del detto, dello spiegato, dell’argomentato. Certo sarebbe inaccettabile per questi signori sostenere una simile posizione. La verità non può nascondersi nel non-detto, nel taciuto, perché questa posizione non potrà mai essere argomentata, dimostrata, resa evidente dinanzi al tribunale della ragione. Ma è proprio così che si arriva alla paradossalità: alla ragione intenta a spiegare cause e concause, processi ed evoluzioni storico-geografiche (o, sempre - questa sì, parola terribile - “geopolitiche”), si affianca sempre un universo di non-detto che traspare sul volto, che vive attraverso i gesti. È possibile scorgerlo nel loro viso teso e corrucciato, nel sopracciglio alzato, nell’apertura eccessiva della bocca mentre parlano, nel freddo distacco con cui commentano morti e vittime del terrorismo, che sarà sempre cosa terribile e da condannare a parole (ancora: il valore e la funzione del “preliminare”), ma che in fondo va bene così perché “ce lo siamo meritati”. È in virtù di questa paradossalità che anche le vittime per eccellenza, i bambini, assumono colore diverso: “siamo dalla parte dei bambini sotto le bombe” - dicono oggi riferendosi a Gaza. Ma quando ci si sono ritrovati i bambini ucraini, sotto le bombe, gli stessi solevano ripetere: “c’è un aggredito e un aggressore ma…”
Nell’universo del non-detto figura tutto ciò che la ragione non ha il coraggio di dire, ma che risulta allo stesso tempo del tutto evidente - sebbene in modo non-argomentato, opinabile, arbitrario e irrazionale - agli occhi di chi ascolta gli ultra(s)progressisti: in realtà è l’Occidente a essere spietato, è l’Occidente a fare i morti, siamo noi i veri cattivi, incapaci di bontà perché totalmente asserviti alla lascivia, al consumo, allo spreco, all’America (con la A maiuscola) e a tutto ciò che questo comporta. Ovviamente si sta parlando di ambiti del tutto slegati tra di loro. Ma è attraverso il non-detto che gli ultra(s) progressisti, pur continuando ad aderire alla loro ragione senza scrupoli, riescono ad abbracciare puntualmente anche le possibilità della (s)ragione.
Quello che in realtà il loro discorso non dice (ma che ha la stessa dignità di ciò che viene detto) è l’odio per il ricco (il capitalista), per il fortunato, per il “bravo”, per il competente, per chi ha successo, per l’imprenditore, per “chi ha i soldi”, per chi si fa la macchina nuova. L’Italia è un paese perennemente innamorato del povero, del mediocre, del “pentito”, perennemente alla ricerca di qualcuno da aiutare sempre dall’alto della propria razionalità illuminata, così bene educata, accorta, attenta, così “corretta” e rispettosa delle minoranze, dei bisognosi, degli afflitti. Questo residuo del cattolicesimo più bieco è ciò che domina tutti gli ultra(s) progressisti di professione, che di conseguenza abbracciano il progresso a parole pur odiandolo a gesti, non sopportando di essere nati in una terra dov’è possibile spogliarsi davanti a una telecamera, dov’è possibile ridere di una battuta di spirito su ciò che un tempo era ritenuto “religioso”, “sacro”, e che oggi (per nostra fortuna) non lo è più. Simili personaggi esaltano la ragione rimpiangendo però segretamente di quel tempo in cui la ragione non valeva nulla, in cui esistevano “valori” da osannare, precetti da imparare a memoria la domenica in Chiesa, difendono i diritti delle donne ammettendo allo stesso tempo la possibilità che una donna venga coperta integralmente da un velo, si dicono Occidentali venendo però ammaliati dalla forza e dalla tenacia delle convinzioni di quegli “altri” che vorrebbero aiutare dall’alto della loro magnanimità. L’ultra(s) progressismo è il vero nemico dell’Occidente.