La guerra tra Israele e Hamas ha riaperto la questione della sicurezza pubblica come dossier strategico per l’interesse nazionale, anche in Italia, principalmente in riferimento ai suoi possibili impatti su una recrudescenza jihadista in Europa. Ma quante sfide impone la sfera della sicurezza collettiva in un’epoca incerta come la nostra? Di queste tematiche parliamo oggi con il professor Umberto Saccone. Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, per 25 anni (1981-2006) all’interno del Servizio per le Informazioni e la Sicurezza militare (Sismi), dove ha ricoperto incarichi operativi in Italia e all’estero; Saccone ha diretto inoltre dal 2006 al 2015 la security di Eni. Attualmente è Leader Employee and & Physical Assets nell’area di Security risk management di Ey e Adjunct Professor alla Luiss Business School.
L'escalation jihadista in Europa delle ultime settimane ha riacceso il faro su un problema che sembrava sopito. Ma la Fondazione Leonardo Med-Or, prima della guerra Israele-Hamas, invitava a non sottovalutarlo. Stiamo assistendo a una nuova versione di un nemico noto o a qualcosa di diverso?
Nonostante gli episodi di terrorismo jihadista siano calati in gravità e intensità rispetto al periodo 2015-17, la minaccia non ha mai smesso di essere presente in molti Paesi europei. I recenti attacchi in Francia e Belgio dimostrano che queste azioni possono intensificarsi in concomitanza con eventi internazionali di rilievo, come l’escalation in corso tra Israele e Hamas in Medio Oriente. Il rischio per il momento è posto soprattutto da attacchi emulativi, compiuti da individui isolati o piccole cellule, anche se non si possono escludere azioni su scala maggiore da parte di gruppi più strutturati. Il nemico è quindi sempre lo stesso, ma ha in parte cambiato pelle e continua ad essere in grado di “aggiornarsi”, sfuggendo potenzialmente agli sforzi di prevenzione di autorità e servizi di sicurezza.
Sul fronte securitario, in generale, la nuova attenzione emergenziale al terrorismo mostra un approccio che tende a inseguire gli eventi piuttosto che prevederli da parte dei decisori?
Mentre la prevenzione resta un pilastro fondamentale, la natura comunque imprevedibile (o difficilmente pronosticabile) di alcuni eventi rende necessarie anche resilienza e capacità di rispondere rapidamente a tutti gli scenari. I decisori, quindi, dovrebbero investire anche su quest’ultimo aspetto, senza nulla togliere allo sviluppo di valide capacità predittive e preventive. Nel caso della Francia, ad esempio, esiste un sistema di schedatura e segnalazione preventiva di persone sospette che tuttavia presenta alcuni limiti intrinseci. D’altra parte, in un contesto diverso, ovvero nel caso di Israele e Hamas, l’intelligence israeliana è stata costretta a inseguire proprio per aver commesso evidenti errori in fase di prevenzione.
A che punto è l'Italia su questi fronti? Cosa ci insegna la pronta manovra di arresto di presunti jihadisti dopo gli attentati in Francia e Belgio?
L’attenzione rimane elevata anche sul nostro territorio, dove il rischio legato al terrorismo jihadista non è trascurabile, nonostante l’efficace capacità di contrasto delle forze dell’ordine. La recente operazione compiuta a Milano contro presunti militanti jihadisti conferma appunto non soltanto il persistere di tale minaccia, ma anche le buone capacità preventive delle forze di sicurezza italiane. Mantenere un livello di guardia alto, a fronte di sospetti già presenti sul territorio ma anche di possibili infiltrazioni da altri Paesi, resterà di importanza determinante per contenere gli episodi di terrorismo in Italia. Il Presidente del Consiglio si è assunta in prima persona la responsabilità di chiudere la frontiera con la Slovenia dimostrando una grande determinazione e il coraggio di iniziative che avrebbero potuto ingenerare critiche generalizzate e strumentali.
Sul fronte generale delle minacce più incombenti, quali sono le più imminenti per il sistema-Paese?
L’ultima escalation Israele-Hamas apre potenzialmente un nuovo “fronte” nel Mediterraneo orientale, e sarà importante monitorarne con attenzione gli sviluppi. Oltre alla guerra in Ucraina, che ha avuto e continua ad avere forti impatti politici ed economici anche sul nostro Paese, in questo momento rimangono centrali la progressiva destabilizzazione del Sahel e la situazione della sponda mediterranea del Nord Africa, che possono incidere indirettamente sul quadro di sicurezza italiano ed europeo. A ciò bisogna aggiungere anche le crescenti tensioni geopolitiche tra il blocco dei Paesi occidentali, da un lato, e Russia e Cina, dall’altro. A parte gli scenari esterni non bisogna dimenticare d’altra parte la minaccia legata al terrorismo, relativa in particolare ai gruppi di matrice jihadista e alle formazioni di matrice anarco-insurrezionalista.
L'attuale situazione di contrapposizione geopolitica impone di guardare al grande scenario e alle minacce ibride provenienti da attori come Russia e Cina. In che misura possono oggigiorno manifestarsi?
Proprio perché “ibride”, tali minacce riguardano ambiti molto diversi e variegati. In primis bisogna citare la minaccia cibernetica, rispetto alla quale la consapevolezza è fortunatamente in aumento, sia a livello istituzionale sia tra gli attori privati. Occorre menzionare anche la disinformazione e le campagne mediatiche, strumenti molto potenti che ancora una volta possono passare per il web e richiedono solide capacità di contrasto, anche in coordinamento con attori europei. Oltre a ciò, la minaccia ibrida può estrinsecarsi in diversi altri ambiti, ad esempio la diplomazia, l’intelligence, o i rapporti commerciali, economici e finanziari. Per affrontare in modo efficace queste minacce, spesso difficili da individuare con chiarezza, occorre un approccio integrato e multidimensionale, sia a livello nazionale sia internazionale.
Sul piano della domanda nei confronti della politica e delle classi dirigenti, l'opinione pubblica è bombardata dal Covid in avanti dall'approccio emergenziale all'attualità di cui parlavamo. Che conseguenze può avere sulle nostre società?
Certamente un tale approccio può, tra le possibili conseguenze, generare un senso di precarietà che rischia di alimentare ulteriormente l’insicurezza delle nostre società: non solo quella percepita, ma anche quella reale. Un più forte sentimento di precarietà può infatti ad esempio intensificare tensioni e disordini sociali, esacerbando situazioni già difficoltose a causa di crisi preesistenti, economiche e politiche. Solo risposte ferme, coordinate e credibili da parte dei governi a tali situazioni di emergenza possono evitare che questo accada. Il dizionario Collins apre uno squarcio sulle nostre paure mettendo l’accento sul concetto di crisi permanente l’era della ‘permacrisi’. Ci muoviamo continuamente da un’emergenza all’altra. Solo 10 anni fa abbiamo fronteggiato la peggiore crisi finanziaria dagli anni ’30, poi la peggiore pandemia dal 1919 e ora la più grave crisi geopolitica in Europa dalla fine della guerra fredda in uno con le tensioni mediorientali che possono destabilizzare l’intero mediterraneo. Pandemia, cambiamenti climatici, guerra con minaccia nucleare, razionamento energetico, inflazione. Viviamo in una nuova normalità dove l’ansia costante pervade, senza soluzione di continuità, le nostre vite.
Lei si è sempre speso per una crescita della “cultura della sicurezza” che unisca attori politici, istituzioni, imprese, accademia. A che punto è il ragionamento sul tema nel sistema Italia?
Nonostante alcuni passi in avanti, soprattutto a livello di consapevolezza, il tema resta importante e urgente, in virtù delle crisi che si sono susseguite negli ultimi anni e che continuano a prodursi. In tal senso nei prossimi anni sarà cruciale specialmente il contributo dato dalle imprese, attori di primo piano del sistema-Paese, che continuando a operare all’estero (anche in teatri di crisi) devono consolidare e aggiornare costantemente la gestione della sicurezza. Sarà importante coinvolgere in questo processo anche l’expertise teorica degli accademici e quella pratica degli attori istituzionali, creando nuove sinergie tra il settore privato e quello pubblico. La forte iniziativa formativa realizzata con crescente sinergia tra Luiss Business School e EY (Ernst&Young) sta proprio a significare la volontà di formare i giovani in uno con una strategia di business coerente con le norme e le best practice.