Lo spettacolo che vedrà protagonisti Gad Lerner e Silvia Truzzi al Teatro di Milano, Il sogno di Gramsci, ci fa capire quanto ancora sia attuale il suo pensiero e perché, con la scoperta di suoi testi inediti trovati proprio dal giornalista, stia destando grande interesse. Ma Gad Lerner, in questa intervista, ci ha parlato anche di tanto altro: di Netanyahu che, secondo lui, “adesso resiste perché c'è una situazione di emergenza, ma appena questa guerra finirà andrà a casa”. E non ha risparmiato durissime critiche al direttore del quotidiano Libero, Mario Sechi, che ha definito un “ultrà da curva del tutto ignorante sulla storia del Medio Oriente", oltre a sottolineare che Fabio Fazio ha sbagliato a far slittare l’ospitata di Patrick Zaki a Che tempo che fa (che sostanzialmente aveva ragione), oltre a difendere l'ex ambasciatrice Elena Basile.
Lerner, domani sarà a teatro con uno spettacolo su un Antonio Gramsci. Dopo giornali e tv le mancava solo questa forma di espressione. Come mai proprio ora?
È la prima volta che mi cimento in una lettura teatrale, senza alcuna intenzione di camuffarmi da attore. Non recito. Silvia truzzi e io leggeremo nell'ambito di una rappresentazione per immagini e per voci autentiche e registrate più di mezzo secolo fa di alcuni testimoni protagonisti della vita di Antonio Gramsci. Tutto ciò sperando che nessuno si senta usurpato da questo utilizzo del palcoscenico teatrale. Ce ne offre l'occasione la scoperta molto fortunata di tre testi inediti di Gramsci.
Di che testi si tratta?
Sono tre componimenti dell'ultimo anno di liceo di Gramsci, che lui fece al liceo classico Dettori di Cagliari, in condizioni di estrema povertà. Ci era arrivato dalla campagna dell'oristanese, con un solo abito liso, letteralmente mangiando una volta al giorno, non è una forzatura, pur di frequentare le biblioteche, con la sua consueta sete di cultura.
Cosa vi ha colpito di questi testi?
Intanto la fortuna di scoprirli. Li abbiamo trovati nel fondo di un armadio di un dirigente politico milanese di storia, che era stato un antifascista rinchiuso nelle carceri fino agli anni ‘30, poi aveva fatto la guerra di Spagna ed era stato il braccio destro di Luigi Longo (il vicecomandante delle Brigate Garibaldine della resistenza, nda). Sto parlando di Francesco Scotti, che nel dopoguerra sarà deputato nell’Assemblea costituente e parlamentare varie volte. Ma ciò che ci ha colpito è stato soprattutto il fatto che quasi certamente li ha ricevuti da Carlo Gramsci, fratello minore di Antonio, che era andato a vivere a Milano e che era suo amico.
Su quali temi si concentrava?
La loro straordinarietà è che oltre a rivelare una precocità di ingegno, una scrittura e una cultura eccezionali, anticipano moltissimi dei temi e delle idee che svilupperà pochi anni dopo a Torino, creando il movimento dei consigli di fabbrica, poi diventando un fondatore del Partito Comunista.
Secondo lei Gramsci, oggi, cosa direbbe dell'abuso della parola “fascismo”?
Credo che Gramsci non abbia mai avuto paura neanche delle parole. “Odio gli indifferenti, io sono partigiano” lo scrisse nel 1919, quando aveva 25 anni e quando la sede del giornale su cui scriveva, l’Ordine Nuovo, era presidiata dagli operai della Fiat di Torino armati, perché c'erano gli assalti delle bande fasciste. Lui morì a seguito dell'incarcerazione nelle carceri fasciste.
Dove risiede l'attualità del suo pensiero?
La cosa molto curiosa che ci conferma l'attualità di Gramsci è che oggi il suo pensiero viene spessissimo citato dagli intellettuali della destra al governo, i quali sono rimasti colpiti dalle sue idee sull'egemonia culturale, sul fatto che il potere politico non può davvero mantenersi se non c'è un progetto di egemonia culturale. Per cui abbiamo assistito a convegni degli intellettuali del governo di destra con il ministro della Cultura, Gennario Sangiuliano e con la premier Giorgia Meloni, in cui si citava continuamente Gramsci.
Quindi la destra ha ridato centralità a Gramsci?
Sì, un ritorno di centralità, che è anche il motivo per cui Silvia Truzzi ed io abbiamo pensato di farci questo spettacolo.
Quanto tempo è passato dalla scoperta dei documenti al passaggio teatrale?
C'è stato un anno di mezzo e il nostro è il racconto di una vita, di una gioventù straordinaria, perché stiamo parlando di un ragazzo nato in un luogo sperduto, il cui padre tra l'altro era finito in galera, e lui aveva dovuto interrompere gli studi per lavorare, che poi si rivelerà uno dei grandi pensatori italiani del secolo scorso. Se uno deve fare l'elenco dei tre o quattro pensatori più importanti cita Croce, Gentile e Gramsci.
Come sarà suddiviso lo spettacolo?
La struttura vedrà un giovane coetaneo di Gramsci che legge questi temi, che uno non può credere che abbia scritto un liceale. A Milano ci sarà uno studente diciottenne del liceo classico Manzoni, io nella mia parte cercherò di sviluppare l'attualità dei pensieri che lui esprime, mentre Silvia Truzzi farà la biografia, raccontando questa vita avventurosa. L'altra scoperta che abbiamo fatto e che mettiamo nello spettacolo sono queste voci che sono custodite nel museo che è sorto nella casa d'infanzia di Gramsci, in provincia di Oristano, In Sardegna. Hanno conservato i nastri registrati su un magnetofono negli anni '60 e '70 di tantissimi testimoni di vita: suoi amici, operai che facevano le occupazioni con lui, compagni di cella e alcune voci divenute celebri. Tra le quali quella di Sandro Pertini, poi diventato presidente della Repubblica, che era stato compagno di detenzione con Gramsci. Sentiremo quindi queste voci originali che abbiamo riversato in digitale nel corso del racconto.
Per quanto riguarda l'attualità, secondo lei Fabio Fazio ha sbagliato a rinviare l'intervista a Zaki?
Sì, penso che Zaki abbia usato un'espressione sopra le righe, “serial killer”, che però, e glielo dice chi va spesso in Israele e ha gran parte della sua famiglia laggiù, nelle manifestazioni di piazza gli israeliani adoperano con accenti ancora più pesanti. Se si va a vedere che cosa hanno detto di Netanyahu lo scrittore David Grossman, o l'ex capo del Mossad che ha lavorato con Netanyahu, ne hanno usate anche di peggio. Per cui abbiamo un malinteso senso di protezione nei confronti di Israele che ha bisogno d'altro. Israele ha bisogno di essere aiutato anche attraverso uno spirito critico.
Sbaglio o lei, nel 2010, fu uno dei firmatari dell'appello scritto da un gruppo di ebrei europei contrario alle politiche del governo israeliano presieduto da Benjamin Netanyahu?
Esatto, anche se nel frattempo siamo diventati molti di più. L'occupazione dei territori abitati da milioni di palestinesi va avanti da 56 anni, dal 1967, senza che si sia pensato a trovare una soluzione perché questi palestinesi possano autodeterminare il loro destino. Non è facile, però il più forte, chi detiene la superiorità militare tecnologica ed economica, avrebbe dovuto porsi questo problema e non accontentarsi del fatto di "schiacciarli" e, siccome siamo in grado di schiacciarli, possiamo continuare a fare la nostra vita come se niente fosse. Era un'illusione che prima o poi doveva infrangersi e si è infranta nella maniera peggiore. I palestinesi si sono ritrovati ostaggio dell'odio e della ferocia di questi terroristi e si è capito che sottomettere per più di mezzo secolo una popolazione, anche se sei il più forte, qualcosa fa succedere.
Il direttore di Libero, Mario Sechi, ha detto che è giusto che Israele dia una risposta dura entrando a Gaza militarmente. Che ne pensa?
Ma perché Mario Sechi è un ultrà da curva, del tutto ignorante sulla storia del Medio Oriente. È molto comodo, seduti in curva, urlare come forsennati, perché sono altri che devono andare a scannarsi al posto suo.
In Italia però, tra l’altro, le istituzioni sembrano filo-Netanyahu mentre la gente appare per la maggior parte filo-palestinese…
Non direi “le istituzioni”, ma direi “il governo in carica”. Netanyahu è il leader di un partito che si chiama Likud, che fa parte dello stesso organismo della Meloni, del partito dei conservatori europei di cui la Meloni è presidente. C'è dietro, da sempre, in questa destra l'idea che la durezza di Israele nel reprimere i palestinesi sia un faro e un esempio da seguire contro l'invasione islamica, contro il pericolo del terrorismo islamico. Quindi il tema di conciliare la vita di quei due popoli che condividono territori limitrofi e minuscoli è un qualcosa che alla destra italiana importa molto meno. È molto strumentale il loro rapporto con Netanyahu, gli fa molto comodo che ci sia un leader ebreo come lui, che manifesta indulgenza sul passato fascista della destra italiana.
Quindi mi sta dicendo che “non tutti gli ebrei sono uguali”.
Chi ha seguito nell'ultimo anno le manifestazioni di centinaia di migliaia di persone, comprese le élite militari della magistratura e dello stesso esercito, che tutti i sabati sera hanno riempito le piazze di Israele contro il governo, sa che adesso Netanyahu resiste perché c'è una situazione di emergenza ma appena, come spero, questa guerra finirà, Netanyahu andrà a casa. La maggior parte degli israeliani sa che ha delle colpe imperdonabili.
Netanyahu come verrà descritto dalla storia?
Io credo che verrà descritto, appunto, come un uomo che ha allevato il mostro che pensava di domare e di tenere sotto controllo. Per superbia era convinto che fosse eterna la superiorità israeliana. Quindi è un leader che non ha avuto la lungimiranza di altri suoi predecessori, che erano stati capaci di fare la guerra, durissimi con i palestinesi, ma che poi si arrovellavano su come dare un futuro al Paese.
Lei incontrerebbe mai un leader di Hamas?
Se questa domanda è rivolta al giornalista, sì. Gli farei un'intervista. Se invece è rivolta a un ebreo che ha a cuore la pace, io penso che, al di là dei proclami, non si tratta con i terroristi. La verità è che Israele ha sempre e giustamente trattato con Hamas per liberare gli ostaggi, in passato lo ha sempre fatto e mi auguro che lo faccia anche oggi, perché ci saranno almeno 130 poveretti, tra cui donne e bambini, nelle mani di questi miliziani feroci e crudeli. E questa è sempre stata la linea perseguita da Israele: quando devi salvare le vite dei tuoi tratti con chiunque.
Il Papa ha detto che siamo già nella "terza guerra mondiale a pezzi”. Ha ragione?
Certo che ha ragione. Pensate soltanto quest'anno dopo l'esplosione della guerra con l'invasione russa dell'Ucraina, abbiamo avuto i colpi di Stato in Africa sanguinosi, nel Sudan, poi il Niger. Poi abbiamo avuto nel Nagorno Karabakh un'altra invasione di cui parliamo poco perché siamo ignoranti e siamo lontani, ma dove di nuovo c'è un episodio di pulizia etnica a danno degli armeni. Le guerre stanno scoppiando con maggior facilità che in passato e hanno un collegamento tra di loro.
A proposito del conflitto Russia-Ucraina, Alessandro Orsini ha detto che l'offensiva ucraina ha fallito. Come si può risolvere quindi il conflitto con la Russia?
Non continuando a farsi la guerra. Vale nel Medio Oriente come vale in questo caso il “cessate il fuoco”, l’intavolare negoziati. Dichiarare la disponibilità a un compromesso è il vero coraggio che dovrebbe animarci.
Cosa ne pensa, infine, di quello che ha detto Elena Basile, l'ex ambasciatrice?
Credo che ci sia del provincialismo, che Elena Basile, esprimendosi male, ha detto delle cose che normalmente si dicono in Israele e che dette da altri non avrebbero suscitato il medesimo scalpore. Ma siccome siamo provinciali e abbiamo sempre bisogno di trovare il personaggio o la macchietta di turno che si presta a tranelli mediatici più facilmente di altri, adesso abbiamo scoperto Elena Basile o Moni Ovadia o Zaki. Sono baruffe nostrane che di fronte a un dramma mondiale fanno cascare le braccia. È un modo di scimmiottare un conflitto drammatico.