Cosa succede nel momento in cui l’antisistema viene inglobato, metabolizzato, digerito fino a diventare la parte portante del sistema stesso? Quando, cioè, si passa dal bivaccare devastati nella wildside a starsene su divani in pelle della parte comoda e integrata, un tempo si sarebbe detta borghese, magari mantenendo l’estetica sporca e cattiva di prima, ma assolutamente incanalata sui binari, nessuna possibilità né voglia di scartare a lato. Fiorucci l’aveva capito in tempi non sospetti, e prima ancora di lui Vivienne Westwood e quel vecchio marpione di Malcolm McLaren, da una parte dell’Oceano, Andy Warhol, dall’altra. Ma in fondo è un discorso che risale nel tempo, da che Elvis è approdato a Las Vegas, parlo di musica leggera, buona ultima forma d’arte a essere codificata da un mercato, per esso in fondo è nata, e da lì partita per lavorare sugli spigoli scoperti della società occidentale, come quei cosetti di gomma che si trovano all’Ikea, mai più lividi o tagli sulle fronti dei nostri bambini. Del resto il mercato non si presta a fare distinzioni poetiche, quelle le lascia ai poeti, appunto, come un predatore è capace di annusare una preda a chilometri di distanza, stanarla, colpirla a morte, salvo poi starsene lì a giocare col cadavere, neanche un briciolo di fame. Oggi il mercato impone di sottostare all’algoritmo delle piattaforme di streaming, chiamate incautamente “store”, negozi, dagli stessi discografici, come se vi si comprasse in qualche modo qualcosa. Algoritmo che viene talmente venerato, del resto è lui a stabilire cosa funziona per noi ascoltatori passivi e, di conseguenza, impone uno stile a chi su queste piattaforme ci vuole stare; algoritmo che viene talmente venerato da essere definito “democratico”, come se ricorrere a un software in grado di eseguire una sequenza di operazioni rendesse il mercato libero dal giogo dell’uomo, in passato lì a stabilire cosa o chi funzionava e cosa o chi no.
Algoritmo che ultimamente si fa accompagnare dal fratello grosso, il bullo che tutti sembrano temere, oggi come oggi, l’intelligenza artificiale, inutile star qui ad allargare il discorso anche a essa, finiremmo comunque per deprimerci. Quindi i suoni si appiattiscono a un unico modello vigente, la durata è dettata da un ascolto frammentato e distratto, TikTok guardato come la prossima frontiera. Ricorrere a strumenti, quindi a studi di registrazione costosi, usando turnisti a loro volta costosi, una sorta di suicidio inutile. L’illusione che sia la rete, quindi la gente, quella dell’uno vale uno, a indicare la strada a beneficio giusto dei creduloni, gli stessi che del resto hanno usato la medesima formula nel tentativo di sovvertire il sistema, finendoci poi con le scarpe e tutto, alla faccia delle scatolette di tonno da aprire. Basti pensare a Che Guevara, rivoluzionario romantico con molte luci e altrettante ombre, passato velocemente dal combattere per il popolo nelle foreste del centro e sud America, all’essere iconizzato sui poster in vendita da Feltrinelli, “Senza mai perdere la leggerezza”, slogan quanto mai memizzabile.
Nella recente storia dell’arte, sposto per un attimo il discorso in quel pascolo, c’è stato chi ha provato a buttare sul tavolo da gioco una qualche forma di reazione (che reazionario venga spesso indicato con valenza negativa è una stortura tutta nostra, perché reagire è anche il verbo che si applica a colui al quale viene praticato un massaggio cardiaco, per dire, o a chi deve rimettersi in piedi dopo essere stato colpito). In risposta al successo imperioso e imperante della covata Young British Artist, infatti, movimento di artisti nato come anti-arte sulla scia del concettualismo di Duchamp, ma presto divenuto estabilishment al 100%, arte concettuale a puro uso commerciale, integrata e totalmente dentro il mercato, nasce lo Stucchismo, una sorta di anti-anti-arte.
A far partire questo movimento due artisti, Billy Childish e Charles Thomson, propugnatori di un ritorno, loro che erano artisti a tutto tondo, poeti, cantautori, ma prevalentemente pittori, all’arte figurativa. Il nome, stuckism, in inglese, deriva proprio da una poesia di Childish, nella quale il nostro cantava come la sua ex, la Young British Artist Tracey Emin, lo definisse “Bloccato, bloccato, bloccato”, appunto “Stuck, stuck, stuck” in relazione alla sua arte. Lei che del gruppo dei Brit Art giunti alla corte del gallerista Saatchi era una delle più provocatrici, dall’esordio con Every Part of me is Bleeding a Everyone I Have Ever Slept With 1963-1995, fino a quella che forse è la sua opera più nota, My Bed, nominata al Turner Prize, premio intorno al quale i Young British Artist hanno proliferato e non a caso preso di mira proprio da alcune performance non troppo lontane al guerrilla marketing degli stucchisti. Tracey Emin presto divenuta artista osannata dalla critica, dai premi, assolutamente parte di quel sistema che sembrava volesse far implodere. Una contrapposizione a una forma di sperimentazione, chiamiamola così, un mettere in dubbio delle certezze acquisite in passato, quella degli Young British Artist, che ha però portato a svuotare del tutto il concettualismo di fatto delle opere di Duchamp, questa la tesi degli stucchisti, che al grido di “gli artisti che non dipingono non sono artisti”, i riferimenti alla stessa Emin, ma anche al più pop Damien Hirst, punta di diamante di quel movimento, sono talmente ovvie da sembrare quasi pleonastico sottolinearlo, andando quindi a indicare nel post-modernismo tutto, quello dei Brit Arts tanto quanto quello che si è nel mentre impossessato di tante altre forme d’arte, l’ironia indicata erroneamente come unica alternativa alla caduta degli ideali su cui si era fondato il progresso, ecco, questa la tesi degli stucchisti, che al grido di “gli artisti che non dipingono non sono artisti” hanno provato a riportare le lancette indietro nel tempo, ripartendo in qualche modo dalle basi.
È a partire da questa lettura dello Stucchismo che viene considerata l’opera più rappresentativa del movimento il dipinto Sir Nicholas Serota Makes an Acquisitions Decision di Charles Thomson, che mostra appunto il direttore della Tate Gallery, museo che ospita il Turner Prize, la cui giuria è da lui medesimo presieduta, interrogarsi se le mutande rosse appese a un filo che campeggiano in primo piano siano un vero Emin dal valore di diecimila sterline, o un fottuto falso. Un discorso, sempre che sia sensato allestire paragoni, non troppo diverso da quello messo in atto dai preraffaelliti, capitanati idealmente dal dandy Gabriel Dante Rossetti, lì in età vittoriana a provare a riportare la purezza dell’arte a prima dell’esplosione di certa tendenza accademica, Raffaello Sanzio e il suo sacrifico della realtà sull’altare della bellezza indicato come primo colpevole, un nomen omen. Anti-vittoriani assurti, pensa te il destino, poi a simbolo proprio del vittorianesimo. Mica a caso una delle azioni artistiche più note degli stucchisti sarà Stuckist Punk Victorian, mostra monstre che presenterà in qualche modo questa accolita di artisti al mondo. A onor del vero lo stucchismo, a differenza del suo parente prossimo d’età vittoriana, non sortirà chissà che risultati, niente comunque rispetto allo straripante strapotere dei loro antagonisti della Young Britisht Arts. Ma cosa c’è di più affascinante di un Davide che decide di sfidare Golia, penso al notissimo dipinto di Charles Saatchi fatto Paul Harvey, già titolare della copertina del catalogo dello Stuckists Punk Victorian, dipinto a più riprese rimosso da mostre e gallerie, Davide che decide di sfidare Golia, quindi, e finisce per prenderle di santa ragione? Puro situazionismo, altro che letti sfatti o assorbenti usati esibiti come fossero opere d’arte.
Tornando però alla musica e alla musica oggi, se il mercato ci propone una sola portata in menu, decisa per altro dall’algoritmo, ogni santo giorno, potrebbe forse essere il caso di ipotizzare una qualche reazione, a costo di essere tacciati di reazionarismo e di sentirsi urlare: “Ok, boomer!”. Un ritorno alla musica suonata, arte figurativa in un periodo che in realtà è tutto fuorché concettuale, canzoni-canzoni non pensate per diventare quindici secondi scarsi su un video di TikTok, parole e note pensate per fare arte, non mero sottofondo da ascensore (o da palestra, o da spostamento in autobus, quel che è). Visto mai che la virata fatta a tutti i rockettari di questa nazione dai Maneskin, so che può suonare agghiacciante, sortisca effetti insperati. Un movimento da contrapporre a questa ondata di singoli usa e getta, streaming compulsivo che pretende la musica pervasiva onnipresenza, sì, ma praticamente inascoltata. Artisti, questa è una chiamata alle armi. Il nome, ca va sans dire, ve lo regalo io: Stoccazismo Punk Vittoriano, adesso tocca a voi.