C’è un nuovo gallo nel pollaio, nei giornali di destra. Il paragone non dispiacerà a Federico Vecchioni, il nuovo co-editore del quotidiano La Verità e delle altre testate che fanno capo a Maurizio Belpietro. Il suo mestiere, dopotutto, è solo essere il primo agricoltore d’Italia. Il suo nome è apparso nelle cronache di questi giorni come un fulmine a ciel per niente sereno: il gruppo Sei, che oltre alla Verità edita il settimanale Panorama, aveva chiuso l’ultimo bilancio in rosso a causa della frana di Sale&Pepe, Confidenze, Style, Starbene e Cucina Moderna, tutte di una società partecipata in liquidazione, come scrive in una minuziosa ricostruzione camerale Startmag.it. Non solo, ma da mesi si vociferava dell’interessamento della flotta mediatica che fa capo agli Angelucci (il padre, Antonio, parlamentare leghista e ras della sanità, il figlio Giampaolo riservatissimo conducator aziendale), che dopo aver aggiunto a Libero e al Tempo anche il Giornale già dei Berlusconi, puntava all’en plein incorporando pure Verità e Panorama, che vanno a vele spiegate. Ma Vecchioni, appassionato velista, li ha ciulati, e zitto zitto ha mandato in porto un’operazione da 2 milioni e mezzo di euro che ora lo vede secondo azionista, attraverso la Newspaper, con il 25%, dopo il direttore Belpietro (sceso al 58,5%) e davanti all’imprenditore alberghiero Nicola Benedetto (12,7%) e al giornalista Mario Giordano (3,7%). Il sogno degli Angelucci di riunire sotto il loro scettro tutte le torpediniere della stampa di destra è affondato. Per capirne il motivo, bisogna prima fare la conoscenza dell’homo novus Vecchioni.
Novus, s’intende, per il grande agone politico-editoriale, non nel suo settore, in cui Federico Vecchioni è, oggettivamente, the big one. Nato nel 1967 a Padova, laureatosi a Firenze in Scienze Agrarie, sposato e papà di due figlie, è alla guida della BF Spa e di Bonifiche Ferraresi, nonché consigliere delegato in Consorzi Agrari d’Italia. Tre sigle che perimetrano un potere di assoluto primo piano nel mondo agricolo nazionale. La holding quotata BF, per dire, è un colosso da più di 1 miliardo di euro che secondo Altreconomia “ha inglobato ormai i segmenti chiave del comparto”, diventando “il vero sovrano dell’agricoltura industriale italiana” (Duccio Facchini, Altreconomia.it, 1 novembre 2022). La Bonifiche Ferraresi, società di antico e nobile lignaggio fondata nel 1871, è stata rilevata dalla Banca d’Italia ed è oggi il più grande proprietario terriero a uso agricolo del Paese, coltivando riso, mais, soia, grano duro e tenero, orzo, barbabietola da zucchero, ortaggi, frutta, erbe mediche e piante officinali. Il peso dei Consorzi agrari è fondamentale, sia come core business che nella ramificazione sul territorio, con gli annessi e connessi che questo comporta in interessi diffusi (e qui va a braccetto con la potentissima Coldiretti). Infine, sempre secondo Altreconomia, Vecchioni tramite la BF non poteva mancare nell’azionariato della Sis, la società leader del frumento, con “diritti di esclusiva” su 116 su un totale di 600 varietà celerealicole. L’intento, più volte ribadito, è semplice e ambizioso: “presidiare l’intera filiera”. Per farlo, i rapporti con il comparto pubblico e con la politica sono importanti, se non decisivi: di qui l’intesa di due anni fa con l’Eni (entrata nel capitale) per la produzione di biocarburanti, un fronte attualissimo e strategico per le sorti energetiche di qualsiasi Paese industrializzato. La capogruppo BF dovrebbe occuparsi della ricerca per sostituire l’olio di palma con sementi di piante oleaginose in sue proprietà in Sardegna, ed Eni dovrebbe passare a produrle su larga scala nelle aree africane in cui è presente. Quest’anno, poi, è nata BF Algeria, per la coltivazione del Sud Sahara. Gli accordi, secondo una nota ufficiale, “sono avvenuti in concomitanza con la missione del ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida”.
Lollobrigida, cognato della premier Giorgia Meloni, avrà senz’altro brindato al nuovo ruolo editoriale di Vecchioni. Il trait d’union fra l’industriale e il governo, infatti, è lui. Secondo Repubblica, anche la Meloni si sfregherebbe le mani perché non gradirebbe dover avere a che fare con un solo interlocutore sulla piazza mediatica: meglio che Belpietro si sia messo in sicurezza imbarcando un Vecchioni, che va d’amore e d’accordo con il cognato Lollo, che finire nell’abbraccio ecumenico, troppo ecumenico degli Angelucci. E veniamo al dunque: Belpietro avrebbe preferito il sovrano alimentare semplicemente per non finire sotto padrone, perdendo quella libertà di manovra che ha reso la Verità uno dei pochi giornali in edicola a non essere in crisi permanente, resuscitando pure Panorama che se non se la passava bene. Benché temi su cui è vietato sgarrare Belpietro si guardi bene dallo smarcarsi (vedi appiattimento filo-Israele su Gaza, con gran scorno di una parte dei lettori), di norma la sua linea è aperta a quelle opinioni, sentimenti e umori del popolo più arrabbiato della destra profonda, o di chi non ha più patria politica. Per capirci: mentre Libero o il Giornale (ai tempi, ancora berlusconiano) su Covid, green pass e vaccini non si distinguevano da un Corriere o da una Repubblica, la voce di Belpietro faceva la guastafeste, dando spazio ai no vax. Dal canto loro, finora gli Angelucci hanno fatto di tutto per melonizzarsi: da una parte installando alla direzione di Libero, tradizionalmente vicino alla Lega, il neo-pasdaran Mario Sechi, ex addetto stampa di Giorgia; dall’altra, spostando al Giornale un Alessandro Sallusti che con Giorgia ci ha scritto perfino un libro-manifesto. Bene: avendo noi tutti ormai imparato a conoscere la diffidenza che muove i circospetti passi della Presidente del Consiglio, troppa pressione da un unico soggetto potrebbe in effetti aver suscitato in lei fastidio, più che compiacimento. Ma più significativo è il fatto che Vecchioni rappresenti uno scacchiere vitale nella strategia di propaganda, ovvero il Made in Italy, che ha nell’agroalimentare il suo occhiello e la sua vera ciccia (con addentellati in altre frontiere succulentissime: fra i suoi soci in BF, per dire, c’è Sergio Dompè, che vuol dire biofarmaceutica). Ora, cos’è che va sempre in coppia con la propaganda? Ma la stampa, bellezza! Tuttavia, magari, meglio se la prima non è spudorata, e la seconda resta sì schierata, ma non decerebrata. E così Belpietro, rimasto capo di sé stesso, gode.