Avrete letto tutti delle affermazioni rilasciate al Financial Times dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. Ha detto che per la Nato un “attacco preventivo” di guerra ibrida potrebbe essere considerato “un'azione difensiva”. E’ vero che un attacco non si annuncia, ma l’annunciare una guerra ibrida, è già un atto di guerra ibrida. Come a dire che quella guerra ibrida la stiamo già combattendo, ma non ce ne rendiamo conto. Ma lo sapete perché queste parole hanno un peso, e soprattutto sapete vagamente chi sia il signore che le ha pronunciate? Diciamo che Cavo Dragone è una sorta di “Draghi”, non dell’Ue, ma della Nato (Draghi non te la prendere). Da gennaio di quest’anno è il presidente del suo Comitato militare, vale a dire che i capi di stato maggiore di 31 paesi alleati militarmente si sono trovati d’accordo a nominarlo come loro capo, su proposta del ministro della Difesa Guido Crosetto. Cavo Dragone non è solo un pezzo grosso, ma “il” pezzo grosso, non solamente d’Italia, ma della Nato. E’ il primo consulente per qualsiasi decisione presa dall’alleanza militare atlantica e il suo portavoce. Quindi capite perché la sua dichiarazione di qualche giorno fa ha messo in allarme un po’ tutti quanti?
Inoltre, fra tutti i curriculum che si sono alternati alla presidenza del Comitato Militare, il suo è quello di un uomo della marina, ammiraglio, e non generale, e questo denota una cosa. Ovvero che la marina militare rispetto alle forze di terra, impegnate a in tutta una serie di problematiche di derivazione tecnica (droni, carrarmati, tecnologie varie, tattiche militari, ecc. ecc.), è il cuore pulsante del pensiero strategico della Nato, dove si ragiona più di massimi sistemi. Cavo Dragone come buona parte dei generali nella storia d’Italia è un piemontese, ma un piemontese decisamente sui generis. Nato nel ’57, Dragone proviene dalla valle Scrivia, al confine con la Liguria, inizia la sua carriera all’accademia navale, a 19 anni. Frequenta scuole di volo della marina americana, diventa pilota di caccia. Quei caccia che decollano e atterrano in mezzo al mare. Primo comandante della portaerei Garibaldi, poi dell’accademia navale. Capo del comando interforze per le operazioni delle forze speciali, poi capo di stato maggiore della marina e della difesa prima di approdare all’attuale ruolo. Ma oltre alla biografia occorre leggersi il concetto strategico della Nato a cui ha contribuito il buon Dragone, pubblicato nel settembre del 2022. Un documento nel quale la Russia rappresenta una minaccia superiore rispetto al passato, figura la Cina come antagonista sul piano globale. Cavo Dragone è poi l’uomo che ha introdotto il ragionamento strategico sulla famosa guerra ibrida di cui parla Guido Crosetto. Le parole di Dragone, purtroppo, non sono state pronunciate a caso. Difficilmente a quei livelli uno si lascia scappare una sciocchezza se non la pensa. La guerra ibrida di cui si parla ultimamente, a livello di vulgata, è intesa soprattutto come guerra di propaganda, ma il pensiero di Dragone è volto al lato cyber. La Nato è un’alleanza difensiva, non certamente difensiva, dunque tutti i dipartimenti specializzati nel lato cyber della difesa, dalle parti del baltico, in Estonia, a Tallinn, in particolare, Nato Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence, appunto. E se ci pensate non è poi da molto che Trump, nonostante gli sforzi diplomatici per metter fine alla guerra in Ucraina, al tempo stesso abbia ordinato la sostituzione della targhetta all’ingresso del Pentagono con una nuova che recitasse “Ministero della guerra”, piuttosto che della difesa.
Questo perché Trump, come pure Cavo Dragone, influentissimo a livello Nato e quindi vicinissimo all’amministrazione americana e alle sue forze armate, ragiona in termini di deterrenza strategica, in fin dei conti, non molto differenti da quelli dell’amministrazione Biden, seppur con un lessico più testosteronico. La definizione di questo concetto parla della capacità di uno Stato o di un’alleanza militare di prevenire un attacco nemico minacciando ritorsioni tali da rendere il costo dell’aggressione inaccettabile o insostenibile. Un approccio molto rozzo e tipico di militari e sceriffi. In questi termini si inserisce il concetto strategico del 2022. La deterrenza, poi, non è altro che un ritorno alla diplomazia del balance of power ottocentesco. Realpolitik bismarckiana dura e pura nel bel mezzo di un grosso negoziato per la pace, dove il capo di turno si aspetta un fenomeno che nei manuali di diplomazia viene definito “band-wagoning”, ovvero, i più deboli si schierano dalla parte del più forte, quando questo mostra i muscoli. E il discorso della guerra ibrida citato da Cavo Dragone s’inserisce proprio nel bel mezzo di tutto questo, ovvero nel ritorno a duecento anni fa, ad un sistema diplomatico che dalla guerra di Crimea in poi, ha condotto tutto il concerto europeo verso il primo conflitto mondiale e il secondo. Insomma, chissà se davvero i tempi sono maturi per una pace duratura in Ucraina con generaloni che in fin dei conti seguono gli ordini della gerontocrazia politica, del loro istinto di sopravvivenza e del loro complesso messianico maturato nella famosa “solitudine del generale”. D’altronde, cosa ci si poteva aspettare da un piemontese? I generali, si sa, sarebbero disposti addirittura a fare la guerra per avere la pace. Ma Dragone è un ammiraglio, dunque, cosa dobbiamo aspettarci?