Pantaloni avana e canotta bianca, mentre parlotta con il figlio Andrea Sempio a fianco e altre due persone davanti proprio a due passi dal cancelletto della villa in via Pascoli, a Garlasco, in cui era stato da poco meno di due ore trovato il corpo massacrato, e ormai senza vita, di Chiara Poggi. E’ la descrizione di Giuseppe Sempio, che appare così in una delle foto (di cui abbiamo già raccontato tutto) che stanno facendo il giro del web e dei social in queste ore e che, dopo 18 anni, raccontano cosa successe e chi c’era davanti a casa Poggi nel primo pomeriggio di quel maledetto 13 agosto 2007. Non la calca raccontata da Andrea Sempio quando è stato ascoltato dagli inquirenti, mentre riferiva di essere passato di lì tre volte in quel pomeriggio, ma comunque un via vai significativo per l’allora tranquillissima (apparentemente) Garlasco, considerando anche che mancavano solo due giorni al Ferragosto.
Si vedono gli inquirenti, si vedono le gemelle Cappa, si vede la loro mamma, Mariarosa Poggi (moglie di Ermanno Cappa e zia di Chiara) immortalata più volte anche con dettagli e primi piani, si vede Andrea Sempio anche mentre è assorto a guardare da dentro l’abitacolo di una macchina. Viene da chiedersi: chi le ha scattate? E perché? E poi sì, c’è anche la foto in cui si vede Giuseppe Sempio, con l’occhio che – per chi sta dietro da tempo a tutto ciò che riguarda il delitto di Garlasco – finisce inevitabilmente per notare qualcosa di decisamente suggestivo: il babbo di Andrea Sempio, quel giorno, indossava pantaloni larghi avana e una canottiera bianca. E un paio di pantaloni bianchi avana, insieme a alcune canottiere bianche, erano anche nel sacchetto di plastica con dentro indumenti apparentemente macchiati di sangue trovati in un canale una decina di giorni dopo il delitto di Chiara Poggi da un agricoltore.
Abiti che furono repertati, analizzati (i RIS di Parma stabilirono che quello che sembrava sangue fosse, in realtà, vernice) e poi fatti bruciare dall’allora capitano Cassese dopo aver stabilito che non erano utili alle indagini. E dopo aver chiesto anche alla moglie dell’agricoltore di evitare di raccontare del ritrovamento. Quella degli indumenti ritrovati è solo una delle tante storie nelle storie (tra l’altro una delle poche realmente verificate e accantonate non per sciatteria) intorno al mistero di Garlasco. L’associazione di quelli che negli atti di indagine vengono definiti “Reperto Pantaloni Marlboro” e “Reperto Canottiere” con gli abiti indossati da Giuseppe Sempio nelle foto di quel giorno è – è giusto dirlo – una suggestione. Pura suggestione. Roba che sì fa saltare in piedi sulla sedia accorgendosene, ma che vale giusto qualche chiacchiericcio sui social o il farlo notare in qualche articolo o salotto televisivo.
Però questa suggestione è in realtà tristemente funzionale a raccontare come – in maniera sempre più strana e inspiegabile – ogni volta che si parla di Garlasco, quindi praticamente sempre, si tende a concentrarsi verso dettagli, aspetti, fatti o circostanze che avranno pure un valore emotivamente impattante sull’istante, ma che lasciano sempre il tempo che trovano nell’ottica della vera indagine e dei suoi eventuali sviluppi in sede processuale (anche il DNA sulle unghie di Chiara rischia di significare molto poco). Quando, invece, a balzare agli occhi dovrebbe essere altro. Come, ad esempio, il dato di fatto – oggettivo e quindi non solo suggestivo – che su Garlasco, relativamente al filone portato avanti dalla Procura di Brescia, sta addirittura indagando quel reparto della Guardia di Finanza che generalmente si occupa di criminalità organizzata anche nell’alta finanza e negli affari bancari.
Il G.I.C.O., così si chiama, si muove praticamente sempre su impulso dell’Antimafia e non certo per fatti – per quanto gravissimi e mediaticamente potenti – circoscritti a un singolo reato (fosse anche un omicidio) o relativi a corruzioncelle di provincia. Professionisti, insomma, che generalmente lavorano per smantellare grosse organizzazioni mafiose o terroristiche. A dire il vero, qualche tempo fa in un salotto televisivo, a buttare là un passaggio ci aveva pensato l’avvocato De Rensis, legale di Alberto Stasi insieme a Giada Bocellari: “Quando si muove il GICO è per ragioni molto gravi e articolate”. Ma nessuno ha approfondito. Nessuno gli ha mai chiesto cosa intendesse (forse anche sapendo che non avrebbe detto altro). E poi, a quanto pare, a molti interessa di più guardare cosa indossasse quel giorno il babbo di Andrea Sempio fuori dalla villetta dei Poggi in via Pascoli.