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Ok, ma perché nessuno
parla più dei Referendum sulla giustizia?

  • di Alessio Mannino Alessio Mannino

16 maggio 2022

Ok, ma perché nessuno parla più dei Referendum sulla giustizia?
Sono in programma il 12 giugno, eppure sui “referendum giustizia” sembra essere calato il silenzio. Intanto, a quanto pare, solo il 30% degli elettori andrà a votare. E se la guerra in Ucraina ha sicuramente influito, forse ci sono anche altre ragioni che hanno oscurato questa chiamata alle urne dei cittadini

di Alessio Mannino Alessio Mannino

“Congiura del silenzio” (Roberto Calderoli, Lega), “lobby del silenzio” (Annamaria Bernardini de Pace, avvocatessa), “strategia del silenzio” (Mario Tassone, segretario Nuovo Cdu). Sui referendum sulla giustizia che gli italiani saranno chiamati a votare il prossimo 12 giugno variano le formule, ma il concetto resta identico: secondo i sostenitori è calata una vera e propria censura da parte del mondo politico e dei media. Inclusa una parte dei promotori stessi.

A ostacolare la pubblicità dei quesiti (riforma del Consiglio Superiore della Magistratura abolendo il numero delle firme per le candidature dei giudici, diritto di voto degli avvocati nei consigli giudiziari, limiti alla custodia cautelare, abolizione della legge Severino su incandidabilità e decadenza da cariche elettive per condannati definitivi a reati superiori a due anni di carcere, separazione delle carriere fra pm e toghe giudicanti) può esserci, anzitutto, una ragione legata al contesto di questi mesi. L’ha spiegata Matteo Salvini, leader della Lega che assieme ai Radicali è l’artefice dell’iniziativa referendaria. Il 16 febbraio scorso Salvini esultava per il via libera della Corte Costituzionale a cinque su sei proposte (bocciata la responsabilità civile dei magistrati). Due mesi dopo, invece, si difendeva così dall’accusa di essere andato in auto-silenzio stampa: “I primi cinque titoli dei tg sono sulla guerra, il sesto e sul Covid, il settimo sulle bollette. Parlare di separazione delle carriere dei magistrati è difficile: per questo preferisco parlare di casa, di risparmi e magari flat tax. Ma io spero di arrivare a maggio con il Covid archiviato e la guerra ferma” (Corriere della Sera, 14 aprile). Non è andata esattamente così, specialmente sul fronte del conflitto in Ucraina.

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Il 12 giugno si vota per i referendum giustizia

Già a fine marzo, comunque, era scattato un chiarissimo campanello d’allarme sul boicottaggio trasversale del pacchetto. Il 31 di quel mese il governo Draghi, appoggiato da tutti i partiti eccetto Fratelli d’Italia, ha deciso di accorpare in un unico election day i referendum e le elezioni amministrative in quasi mille Comuni d’Italia. Una mossa apparentemente d’aiuto per facilitare l’effetto traino delle comunali sulle schede referendarie. In realtà “il fatto di lasciare un solo giorno… significa che la percentuale di affluenza non volerà verso picchi altissimi”, come ha chiarito una vecchia volpe come Clemente Mastella (Il Giornale, 7 aprile 2022). La scelta di non concedere una seconda giornata di votazioni, se da un lato è in linea con gli altri Stati europei, dall’altro rompe una tradizione tutta italiana, quella di recuperare di lunedì una percentuali di potenziali votanti che alla domenica preferiscono, specie se a giugno, il mare o la montagna.

Infine, l’oggettivo tecnicismo nel merito delle questioni sottoposte ai cittadini fa la sua parte. Non casualmente, forse, l’unico quesito che, stando almeno a un sondaggio Demopolis del 13 maggio, otterrebbe il gradimento della maggioranza degli intervistati, è quello sulla separazione delle carriere, una issue ormai entrata nel discorso comune dopo anni di battage sui media. Secondo i sondaggisti, soltanto il 30% del campione si dice pronto a recarsi al seggio per dire la propria sulla giustizia. Molto diversamente sarebbe andata, e qui arriviamo alla motivazione probabilmente più incisiva sul perché non si parli più di questi referendum, se la Consulta non avesse rigettato quelli sul fine vita, sulla cannabis e sulla responsabilità civile delle toghe, temi di gran lunga più popolari. “Realisticamente mi pare davvero difficile che a spingere alle urne sia la voglia di pronunciarsi sull’abrogazione del decreto Severino o sulla riforma del Csm”, ha detto all’Agi l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell'Unione delle Camere penali italiane.

A prescindere da come la si pensi sui singoli problemi e sulle guerre intestine nell’ordine giudiziario, è certo che l’andazzo ha come effetto “impedire una partecipazione attiva dei cittadini”, ha chiosato ieri sulle colonne del Giornale Luca Palamara, ex presidente (radiato) dell’Associazione Nazionale Magistrati.

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