L’epitaffio gliel’ha letto Michele Santoro in un’apparizione a L’aria che tira. Epitaffio, sì, perché il Salvini capopopolo è morto e il politico non si sente granché bene. Testuale: “Il povero Salvini non è mai stato massacrato così dal sistema politico per tutte le cacchiate che ha detto nel corso della sua carriera, e adesso che ha cercato di fare qualcosa per andare incontro alla pace viene massacrato da tutti. Mancano solo i bombardamenti della Nato su Salvini”, questa la dichiarazione di solidarietà di un uomo che non gli può essere vicino. Ecco: sono segnali, questi, perché significa che, politicamente, il nemico non fa più paura.
Il “qualcosa per andare incontro alla pace” fatto da Salvini a cui si riferisce Santoro è il viaggio a Mosca, ora congelato, che il leader leghista avrebbe tentato di organizzare tramite l’ex deputato di Forza Italia Antonio Capuano - suo consigliere per gli affari esteri - la cui figura oggi è al centro dell’attenzione da parte del Copasir che, ha fatto sapere il presidente Adolfo Urso, indagherà sulla sua attività “nei confronti di alcune rappresentanze diplomatiche presenti nel nostro Paese su temi inerenti la sicurezza nazionale”. Il viaggio sarebbe stato già preparato nei dettagli ma all’insaputa tanto di Palazzo Chigi quanto della Lega: “Se dice di andare o chiamare Mosca qualcuno che va bene al politicamente corretto - aveva detto Salvini la scorsa settimana, con la consueta tracotante narrazione - allora è una grande operazione di pace. Se ci va Salvini chissà cosa succede, però abbiamo le spalle larghe e bisogna solo tirare dritto”. Le spalle saranno anche larghe ma non ha tirato dritto perché, dappertutto (Pd, Meloni, persino dai suoi) gli hanno fatto capire che in una fase del genere bisognerebbe muoversi con il governo.
Ma non è solamente il viaggio, ora non più in agenda, a compromettere Salvini quando si parla di Russia. Un articolo di Emiliano Fittipaldi su Domani del 31 maggio ha dato conto di un incontro tra Salvini, Capuano e l’ambasciatore russo in Italia, Sergej Razov, avvenuto lo scorso 1 marzo, vale a dire cinque giorni dopo l’inizio dell’invasione della Russia all’Ucraina. Una notizia confermata dall’ambasciata e, per questo, gravissima in termini diplomatici, a maggior ragione in quel preciso momento storico; una notizia che oggi mette in imbarazzo la Lega e pure il Vaticano, informato di quell’incontro che, peraltro, non sarebbe stato l’unico, stando a quanto ricostruisce Il Fatto Quotidiano che parla di almeno altri due colloqui tra leader leghista e Razov.
Pensieri, opere e azioni: da quando è iniziata la guerra la passata contiguità tra Salvini, Putin e la Russia - fondi compresi - è finita più volte nel tritacarne politico e mediatico, mettendo frequentemente a disagio il partito e i suoi esponenti più critici nei confronti del dilettantismo di Salvini (da Giorgetti a Zaia, passando per Fedriga), incalzati da destra da Fratelli d’Italia e da una Giorgia Meloni che stanno sfruttando al meglio, in termini di consenso rubato alla Lega, i passi falsi di un uomo che, dall’estate del Paapete, sembra sbagliare mossa ogniqualvolta si mette scioccamente in testa di avere la capacità (e la libertà istituzionale: tutto in fondo parte da quella richiesta balneare di “pieni poteri” che era una assurda dichiarazione di poetica) di fare qualcosa.
Nel 2022, poi, l’album delle figuracce di Salvini si è arricchito di una serie di fallimenti politici e di immagine tutt’altro che insignificanti. Prima irrilevante e respinto con perdite nella partita per eleggere il Presidente della Repubblica a gennaio, poi perculato in mondovisione a marzo dal sindaco della città polacca di Przemysl, Wojciech Bakun, colui che gli rinfacciò la maglietta di Putin nel giorno in cui il leghista pensava di essere un interlocutore credibile in una improbabile missione di pace. Quel giorno, tra l’altro, indossava un giaccone marchiato da diversi brand - uniti in favore di una onlus - i quali si dissociarono da qualsiasi collegamento con la sua immagine per il riverbero negativo di quanto accaduto, il tutto mentre, sul fronte interno, la Lega veniva raggiunta e ampiamente superata da Fratelli d’Italia nelle intenzioni di voto e lui divorato come figura leader del centrodestra futuro dall’ascesa di Giorgia Meloni, una che non perde l’occasione per mostrare la sua diversità politica e antropologica. E, il 12 giugno, sono in programma appuntamenti elettorali nei quali Salvini rischia tantissimo: i referendum sulla giustizia - la Lega è stata tra i promotori, ma la possibilità che i cinque quesiti raggiungano il quorum sono bassissime e Salvini se ne sta disinteressando - e le amministrative che daranno indicazioni più chiare sullo stato del centrodestra e dei rapporti di forza interni all’area. Anche lì le notizie per Salvini difficilmente saranno positive.