Guardando al dato concreto, c’è un’opposizione che appare più concreta ed è quella del Movimento Cinque Stelle di Giuseppe Conte. Il quale sembra aver colto con maggior attenzione e pragmatismo la necessità di tenere separata la ricerca di alternative politiche e strategiche all’opposizione di principio. Un M5S istituzionale e un PD neo-grillino delle origini? Non è da escludere. Pensiamo alla querelle sulla lettera di Meloni al Corriere della Sera. Con Conte capace di tendere una mano al governo sul distacco dal fascismo e il PD di Schlein a testa bassa intento a fare il pelo nell’uovo per la mancanza della parola anti-fascista. Cosa che non ha impedito all’ex premier di andare a testa bassa contro l’esecutivo sul Decreto Lavoro o sulla gestione dell’immigrazione, ma ha permesso di capire un diverso gradiente di maturità. Schlein sembra volere interpretare il ruolo dell’anti-Meloni a prescindere, cercando di rispondere alle istanze di un elettorato borghese, progressista, urbano terrorizzato dall’idea dei barbari al potere. Da combattere e demonizzare, rimarcando il tema della sempre latente emergenza autoritaria. Conte riesce, così come fatto in più occasioni dal (fu) Terzo Polo a trovare terreni di compromesso. È successo sulla Vigilanza Rai, ad esempio, ove la destra di governo ha eletto come presidente la pentastellata Barbara Floridia. Ma tutto questo non impedisce una lotta dura sui temi politici, dalle armi all’Ucraina al lavoro. Il tema caldo è quello della legittimazione maggioranza-opposizione. Meloni lo ha capito, contrastando il governo di Mario Draghi in solitaria ma con un gioco delle parti che apriva a terreni di confronto. Sbaglia, consapevolmente, Matteo Renzi quando dice che Conte “in segreto aiuta Meloni”: anni di attacco ai grillini per presunti distacchi dal metodo democratico e poi si stupisce se un ex premier usa le furbizie parlamentari?
Schlein, in quest’ottica, non tocca molto palla. E soprattutto non impone discontinuità sui temi formali di lotta. Che restano quelli già oggetto delle critiche alla Manovra di Meloni e introdotti dal Movimento Cinque Stelle. Meloni col Decreto Primo Maggio ha infatti invertito definitivamente due riforme approvate su iniziativa pentastellata del 2018: il Decreto Dignità che modificava, restringendole, le soglie di applicazione dei contratti a tempo determinato, e il Reddito di Cittadinanza. Il Pd dell’epoca, a influenza renziana, votò contro entrambe le misure, sostenute dall’accordo tra M5S e Lega. E anche l’altro cavallo di battaglia di Schelin, il salario minimo, è una vecchia proposta pentastellata. I Cinque Stelle giocano inoltre molto più a viso aperto su altri due temi caldi del mondo progressista, pacifismo e ambientalismo, su cui la Schlein personalmente si ritrova ma non ha ancora la forza politica per schierare l’intero Pd.
La palese sintonia personale tra l’ex premier e l’ex vicepresidente della Regione non diventa, per ora, convergenza concreta perché Conte teme di portare in dote al Pd le “sue” battaglie vedendole fagocitate dai dem con un’alleanza netta. La prospettiva punta definitivamente alla convergenza. A patto però che i dem di Schlein siano gradualmente chiamati a cercare, esplicitamente, i contiani per un’opposizione strutturale in Parlamento, nelle elezioni territoriali e, in futuro, alle urne nazionali. Intanto dai comitati ambientalisti al mondo catto-progressista, passando per i sindacati, Conte costruisce l’alleanza tra M5S e i mondi tradizionalmente di riferimento del Pd: l’ex ministro verde Alfonso Pecoraro Scanio, il leader della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi e il segretario della Cgil Maurizio Landini oggi sono tra coloro che guardano più all’avvocato di Volterra Apula che a Elly Schlein come perno dei progressisti. “Punto di riferimento fortissimo”, direbbe Nicola Zingaretti. Il tutto in nome della difesa di un’agenda approvata nel 2018 a cui la Lega votò a favore e il Pd contro. Ordinaria schizofrenia della politica italiana. In cui, però, tra maggioranza e opposizione resta aperto un filo di dialogo e legittimazione. Si chiama, in fin dei conti, alternanza democratica. E chi sembra averla capito meglio oggi non è l’istituzionale Pd di Schlein ma il “populista” Movimento contiano. Opportunista e capace di mutare forma ma ancora attivamente in campo.