Garlasco, estate del 2007. Chiara Poggi viene uccisa nella villetta di famiglia e il paese sprofonda nel silenzio di chi non sa, o non vuole dire. Ma ora, diciassette anni dopo, qualcuno rompe quel silenzio. A farlo è una donna – ex volontaria della Croce Garlaschese – che ha raccontato per la prima volta al settimanale Giallo i giorni che precedettero l’omicidio. Con lei, tra barelle e ambulanze, c’era anche Stefania Cappa, cugina di Chiara. E il 13 agosto, giorno del delitto, doveva andare in piscina. Ma, dice, “non ci andai, il tempo era brutto. Stefania ci andò davvero? Mi sembra strano. Con il brutto, le piscine chiudono”. Una frase, detta così, quasi per caso. Ma che apre una crepa nella versione fornita da Stefania Cappa agli inquirenti nel 2007. All’epoca disse di essere andata in piscina alle Rotonde con Emanuele Arioldi – l’uomo che sarebbe poi diventato suo marito – su invito via sms. Ma era davvero lì? E perché proprio con Arioldi, mai contattato prima? A confermare l’uscita è solo lui. Lei dice di esserci andata dopo pranzo, lui di averla trovata lì già alle 13. Eppure nessuno, né allora né dopo, ha mai verificato gli accessi o ascoltato il gestore dell’impianto.


La volontaria ricorda bene anche l’11 agosto, quando fu chiamata per soccorrere Paola, la gemella di Stefania, che aveva tentato – forse – un gesto estremo. “Mi chiamò Stefania per dirmi di non usare le sirene. Diceva che non era niente. E una volta arrivati, il medico mi chiese di bloccare l’auto medica. Dentro, Paola era debole, ma lucida. Mi disse che temeva per Stefania, che non mangiava più. Era preoccupata che cadesse nell’anoressia anche lei”. Il giorno dopo, Stefania si scagliò contro la collega: una lite vera e propria. E poi quel 13 agosto sospetto, quello in cui Chiara fu trovata senza vita. Ora che l’indagine si è riaperta e che Andrea Sempio – amico del fratello di Chiara – è l’unico indagato (in concorso con altri), ogni tassello torna sul tavolo. Compresa Stefania Cappa. Il 16 maggio verrà conferito l’incarico ai periti per l’incidente probatorio sui reperti: DNA sotto le unghie, impronte, tracce dimenticate. Tra loro ci saranno la genetista Denise Albani, il dattiloscopico Domenico Marchigiani, e – per la difesa – l’ex comandante del RIS di Parma, Luciano Garofano. L’obiettivo: distinguere finalmente il rumore dalla verità.

