L’ergastolo di Filippo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchettin, viene ora spiegato dai giudici. La motivazione della sentenza scritta dalla Corte d’Assise di Venezia è chiara: la condanna tiene conto “della efferatezza dell'azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l'imputato non accettava l'autonomia delle anche più banali scelte di vita”. Un omicidio giudicato nel modo più duro possibile, tranne che per l’aggravante della crudeltà. Secondo le analisi dei video, infatti, la corte non ha potuto “desumere con certezza, e al di là di ogni ragionevole dubbio” che Turetta volesse “infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive”. Per questo cade l’aggravante della crudeltà.


La spiegazione può sembrare controintuitiva e difficile da comprendere. Turetta, infatti, ha inferto 75 coltellate a Giulia Cecchettin, come può non esserci l’aggravante della crudeltà? Lo spiega la criminologa Roberta Bruzzone, che durante il programma Ore14, appena sputa la notizia, commenta questo aspetto della sentenza: “La crudeltà è una aggravante molto scivolosa e lo abbiamo visto in tanti casi. Ci devono essere delle condotte separate rispetto alla finalità dell’omicidio, difficilissime da provare, che però non rientrino nell’unicum. Cioè, se quelle settantacinque coltellate fanno parte di un’unica azione in unico arco temporale e la finalità è la morte, allora non si può applicare l’aggravante della crudeltà per come oggi è configurata”.

Quando si applica dunque? “Ci devono essere delle azioni, anche separate temporalmente, come tagli, torture, sevizie o tutta una serie di violenze psicologiche finalizzate non a uccidere ma a far soffrire come elemento separato dalla morte. Altrimenti la crudeltà, per come è scritta oggi a Codice, non è configurabile”. Questa, dunque, la motivazione tecnica che permette di comprendere la sentenza della Corte d’Assise di Venezia. Nulla che, in ogni caso, porti a considerare l’omicidio di Turetta meno grave. Resta infatti in piedi la tesi della lucidità con cui ha agito e il tentativo di depistare, mentendo, le indagini. Per Bruzzone, tra l’altro, il caso Turetta presenterebbe delle somiglianze con quello di Mark Samson, l’assassino reo confesso di Ilaria Sula, entrambi incapaci di accettare un rifiuto e sentirsi per questo inadeguati.
