Il profilo criminologico di Filippo Turetta è ben chiaro per Roberta Bruzzone: narcisismo patologico di grave entità. La dottoressa conosce bene l'argomento: nel corso degli anni si è occupata, nella figura di consulente, dei casi di cronaca nera più famosi a livello nazionale e non. Dal delitto di Avetrana alla strage di Erba, passando per la difesa di Chico Forti. Da novembre di quest'anno la criminologa presenta anche una docu-serie in onda su Raiplay, dedicata proprio al disturbo narcisistico di personalità: Nella mente di Narciso. Otto puntate in cui vengono analizzate le personalità dei criminali, relative a quattro casi di delitto. Benno Neumair, l'uomo che aveva ucciso i genitori a Bolzano; Sarah Scazzi ad Avetrana, recentemente tornata sugli altari per le polemiche sulla serie Disney; l'assassino di Laura Ziliani a Temù e il femminicidio di Giulia Tramontano per mano di Alessandro Impagnatiello. Il filo nero che unisce tutti questi efferati casi di violenza è uno: il narcisismo. E lo strumento del narcisista, spiega Roberta Bruzzone, è la manipolazione: “Il narcisista punta al controllo totale della vita della vittima, che in quel momento non sa ancora di essere tale. L’aspetto del controllo è spesso ammantato da cura, attenzione, amore”. Come nel caso di Filippo Turetta, sul quale la criminologa e biker è intervenuta anche nel corso di un'intervista a Vanity Fair e nel programma Zona Bianca su Rete 4. Vediamo cosa ha detto.
Sulle testimonianze di Turetta, Bruzzone spiega che ci troviamo di fronte al “nucleo centrale del narcisismo. Turetta è un cosiddetto covert, cioè un passivo-aggressivo, ed è un soggetto che manifesta le sue problematiche già dall’infanzia, non riuscendo a costruire relazioni autentiche con gli altri. Questo tipo di persone sviluppa un senso di isolamento soprattutto perché teme in maniera viscerale di essere criticato e giudicato come inadeguato, quindi si ritira dalle relazioni ma al tempo stesso coltiva anche invidia verso chi, queste relazioni, riesce a stabilirle: per loro stare con gli altri significa avere una sorta di patente di normalità e adeguatezza sociale”. Come affermato in più occasioni dalla criminologa: narcisisti non si nasce, ma ci si diventa. E non si tratta di creare un alibi al criminale dando la colpa alla società, ma di poterlo riconoscere prima che compia il gesto estremo per fermarlo e curarlo, salvando lui e la vittima. “Quando Turetta entra in relazione con Giulia”, continua la Bruzzone, “polarizza tutta la sua patologia narcisistica su di lei: perché lei diventa il veicolo che gli consente di relazionarsi con gli altri, con gli amici di Giulia, dandogli l’impressione di avere una vita sociale”. In studio a Zona Bianca poi, interrogata sui messaggi che Turetta mandava alla povera Giulia, si entra ancora più nel dettaglio.
Roberta Bruzzone spiega ai telespettatori che il narcisista è “un parassita, un soggetto totalmente interessato a nutrire i propri bisogni e i propri obiettivi e che per farlo non ha scrupoli nell’utilizzare chiunque gli capiti a tiro”. Turetta nei messaggi “non è che dice di essere felice: il problema con gli elementi narcisisti come Turetta è quando gettano la maschera positiva”. L'atteggiamento che può sembrare di premura, di innamoramento, degrada in quella che è a tutti gli effetti violenza, ma non è facile accorgersene, soprattutto nel contesto di una relazione. Secondo la Bruzzone infatti la povera Giulia “non è stata in grado di riconoscere questo atteggiamento”. Questo spiega perché la criminologa consideri il suo programma su Raiplay un servizio di aiuto a chi è coinvolto in una relazione di questo tipo, che probabilmente è anche riduttivo definire tossica. La parola giusta sarebbe criminale. Dopo aver visto i messaggi che Turetta inviava a Giulia Cecchettin, Bruzzone spiega che sono “il decalogo del narcisista maligno, della peggior specie. È tutto quello che ci aspetteremo da un disturbo narcisistico di gravità elevata”. E fortuna, aggiungiamo, che si sta iniziando a fare divulgazione a riguardo: la prevenzione è la miglior cura.