Il caso di Giulia Cecchettin si è prestato a diverse interpretazioni. Chi crede sia un problema di colpa individuale e chi rintraccia invece nel gesto di Filippo Turetta un atteggiamento generale, di molti uomini. C’è chi ritiene che in Italia si sia ancora in pieno patriarcato e chi, come Massimo Cacciari, ha rifiutato questa interpretazione sostenendo che la famiglia patriarcale sia in crisi da almeno due secoli. Anche lo psicanalista Massimo Recalcati entra nel dibattito per Metropolis Extra (La Repubblica) in occasione dell’uscita di Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa, il primo volume di una serie che arriverà nelle edicole italiane. E lo fa sottolineando per la prima volta alcuni elementi finora rimasti periferici. Ci sarebbero infatti “due grandi facce del femminicidio che riflettono le due grandi facce di quella che chiamiamo molto sinteticamente in questi giorni l’ideologia del patriarcato. La prima faccia è quella dell’ayatollah, dell’uomo che incarna un ordine patriarcale, che ritiene che le donne siano delle minorate ontologiche, cognitive, morali, delle degenerate, e che quindi debba metterle in prigione. Al fondo di questa violenza c’è un atteggiamento sessuofobico, cioè la donna incarna la sessualità (Eva la peccatrice) e l’uomo incarna il bastone che castiga, disciplina, imbavaglia la libertà sessuale della donna”. Questo è in sostanza quello che molti hanno sostenuto in questi giorni in televisione, nei giornali e soprattutto nelle piazze. Ma per Recalcati l’omicidio di Giulia avrebbe tutt’altra radice.
“Il caso di Filippo e Giulia è un altro, ci mostra un’altra faccia della violenza che pure scaturisce dal patriarcato. È la faccia di un prolungamento nella relazione amorosa di un legame primario con i propri genitori. Anziché essere stato superato, non c’è stato lutto di quel legame primario, non c’è stata separazione del soggetto da quel legame primario, questo legame primario come un’ombra ha coperto il rapporto con la donna, che quindi incarna la madre fondamentalmente, e dunque la separazione diventa impossibile da elaborare, da simboleggiare”. In altre parole, l’ossessione di Filippo Turetta è la dimostrazione non dell’atteggiamento del padre padrone, tipicamente associato alla cultura patriarcale e dello stupro, ma di un atteggiamento opposto, di eterno figlio incapace di separarsi dalla madre: “Ed è per questo che i genitori di Filippo evocavano il fatto che in questo periodo il ragazzo, quando era molto triste e abbattuto, si rifugiava nel suo orsacchiotto di peluche prima di andare a dormire. Cioè abbiamo veramente un fenomeno di regressione infantile”. Questo è “molto tipico di quegli amori che nascono sui banchi di scuola che poi tendono a riprodursi per tutta un’esistenza oppure a genere, come in questo caso, una relazione simbiotica, tossica, narcisistica che non tollera la separazione. Quando una coppia è sufficientemente generativa? Quando i suoi componenti, al di là del sesso, sanno stare soli. La relazione è l’unione di due solitudini”.
La condizione di Turetta sarebbe condivisa da molti altri giovani. “Anche i grandi amori possono finire e solitamente non finiscono così”. Poi Recalcati torna a parlare del ruolo del padre nella nostra società, ormai totalmente liquidato dalla narrazione dominante: “Le relazioni primarie tendono a risultare interminabili e quindi a impedire il taglio, la separazione. È il paradigma di un narcisismo diffuso. Sono dei legami primari che vediamo anche con gli oggetti. Se separi un ragazzino dal suo pc o dall’iPhone, cosa generi? Generi una crisi d’angoscia, come se lo staccassi dal seno. C’è una sorta di svezzamento traumatico del tutto insopportabile, con un’angoscia panica. Questo è il segnale del fatto che nel nostro tempo l’esperienza della separazione è in declino”. Perché? “Perché la funzione paterna è in declino, non solo perché i padri sono sempre più rincoglioniti nell’esercizio della loro funzione, sempre più disorientati; è il discorso sociale dominante che infiacchisce, fa evaporare, l’esercizio della funzione paterna che è proprio quella di togliere l’orsacchiotto”.