Ma per i giudici non c’è stata alcuna premeditazione. Alessandro Impagnatiello voleva solo “interrompere la gravidanza”.
La Corte d’Appello ha confermato l’ergastolo ma l’ha fatto riscrivendo il movente. Giulia, quando è stata uccisa, era incinta di sette mesi del piccolo Thiago. Due le vite perse. Eppure, l’averla avvelenata, non basta per parlare di premeditazione? Cos’altro serve? È quello che ci chiediamo in attesa di scoprire le motivazioni della sentenza…
Una donna incinta viene avvelenata per mesi, poi colpita a morte a coltellate, poi bruciata, poi nascosta. Ma no, per i giudici della Corte d’Appello non c’è premeditazione. Così Alessandro Impagnatiello, ex barman e assassino confesso della compagna Giulia Tramontano, resta all’ergastolo, ma senza l’aggravante che racconta la parte più fredda di tutto: quella in cui si pianifica la fine di qualcuno. Giulia era la sua compagna, era incinta di sette mesi del piccolo Thiago. E lui ha tentato per settimane di farle del male a piccole dosi. Ma secondo i giudici non basta. Nel 2024 la Corte d’Assise di Milano aveva riconosciuto la premeditazione, assieme al vincolo sentimentale e alla crudeltà. Ma la Corte d’Appello ha tolto quell’aggettivo scomodo: premeditato. Confermato invece tutto il resto. Perché sì, Impagnatiello è stato crudele. Ma non lucido. O almeno, non abbastanza da pianificare un omicidio. Eppure i fatti sembrano raccontare un’altra storia. Per mesi aveva lasciato in casa del topicida. Aveva cercato online dosi e sintomi, aveva cominciato ad avvelenarla molto prima di quel 27 maggio 2023. Poi, quando ha capito che le due donne della sua doppia vita si erano parlate, e che le bugie erano finite, tutto è crollato. Per la Procura, è lì che decide di uccidere. Con freddezza, senza un’esplosione, senza un momento di follia. «Ha mentito sempre, ha sviato le indagini, ha ucciso con lucidità una donna che portava in grembo suo figlio» ha detto l’accusa. Ma la corte non ha visto un piano: ha visto un uomo che ha improvvisato male, e che avrebbe sbagliato tutto.


La difesa ha costruito una narrazione opposta: “Impagnatiello voleva solo interrompere la gravidanza”, si legge nelle memorie. “Il problema era il feto, non Giulia”. Il topicida, le ricerche online, tutto avrebbe avuto un solo scopo: evitare la paternità. Una paternità che secondo lui gli avrebbe rovinato il lavoro, la casa nuova, l’immagine perfetta. E quando quella gravidanza è diventata reale e sempre più concreta, lui è crollato. Nel processo, le sue avvocate lo descrivono come travolto dal suo stesso castello di menzogne, pentito, fragile. “Ha chiesto scusa alla famiglia, non si è sottratto a nulla”. E nel frattempo ha chiesto anche accesso alla giustizia riparativa. Come se ci fosse qualcosa da riparare dopo aver brutalmente ucciso la sua donna e il suo bambino? Ma il punto resta lì: se non è premeditazione avvelenare per mesi, colpire, occultare e bruciare, allora cos’è? Il risultato non cambia, l’ergastolo resta. Ma il racconto sì. E questo, nell’attesa di scoprire le motivazioni della sentenza, fa ancora più male.
