Tre anni dopo la morte di Liliana Resinovich, la Procura di Trieste ha deciso di ricominciare tutto dall'inizio. E quando diciamo tutto, intendiamo proprio tutto: cordini, coltelli, braccialetti, scarpe, sacchi di plastica. Ogni singolo oggetto legato alla tragica fine della donna scomparsa il 14 dicembre 2021 e trovata morta nel bosco dell'ex ospedale psichiatrico 22 giorni dopo. La dottoressa Ilaria Iozzi, pubblico ministero che indaga per omicidio e occultamento di cadavere, ha presentato al gip una richiesta di incidente probatorio che fa tremare. Quindici punti di analisi scientifiche, genetiche e dattiloscopiche che dovranno riscrivere la storia di questo caso. Il settimanale Giallo rivela i dettagli di questa svolta investigativa che potrebbe cambiare tutto. Al centro dell'attenzione c'è sempre lui, Sebastiano Visintin, marito di Liliana e al momento unico indagato. Dai suoi cassetti sono spuntati i coltelli che ora finiscono sotto la lente d'ingrandimento degli esperti. Ma non solo: anche i cordini sequestrati in casa sua dovranno essere confrontati con quello trovato intorno al collo di Lilly e quello che legava le chiavi nella sua borsa. La prima domanda che si pongono gli inquirenti è semplice ma fondamentale: questi cordini sono compatibili? Il DNA vegetale estratto dalle corde trovate sulla scena del crimine corrisponde a quello dei gomitoli di casa Visintin? E soprattutto: che tipo di oggetto ha tagliato queste corde? Le forbici? Un coltello? Uno di quelli sequestrati dal cassetto del marito? Poi c'è la novità che nessuno si aspettava: un braccialetto nero e celeste con disegni greci, sequestrato a casa di Sergio Resinovich, fratello di Liliana. Anche questo finirà sotto analisi per capire se le sue sezioni sono riconducibili agli stessi oggetti che hanno tagliato i cordini. Ma la vera rivoluzione riguarda il DNA. Gli esperti dovranno estrarre materiale biologico da ogni superficie: dal cordino del collo, da quello delle chiavi, dal misterioso braccialetto. E poi confrontare tutto con i profili già noti, cercando tracce di persone "individuate o individuabili". Le scarpe di Liliana racconteranno la loro verità. Un'ispezione approfondita delle suole per cercare materiali che possano essere confrontati con quelli del roseto dove è stata trovata e dell'officina di via Donadoni, il laboratorio del marito. Ogni granello di terra, ogni fibra potrebbe essere la chiave del mistero.

I due sacchi neri di plastica che avvolgevano il cadavere verranno passati al setaccio alla ricerca di impronte digitali, palmari o di guanti. Qualcuno ha toccato quei sacchi, qualcuno li ha usati per nascondere il corpo di Lilly. Le tracce ci sono sempre, basta saperle cercare. La Procura non si accontenta delle analisi già fatte. Vuole che tutti i reperti vengano riesaminati con "sistemi di ultima generazione" per trovare materiale biologico che magari era sfuggito ai primi controlli. È come rifare il casting di un film: stesso copione, attori diversi, tecnologie più avanzate. E poi c'è lui, l'altro protagonista di questa storia: Claudio Sterpin, l'amante di Liliana. Il suo interrogatorio è fissato per il 23 giugno, anche questo in incidente probatorio. Gli avvocati di Visintin hanno provato a opporsi, ma invano. Sterpin dovrà rispondere alle domande del pm davanti al giudice, e le sue parole diventeranno prove cristallizzate nel processo. Quello dal settimanale Giallo è un quadro inquietante: dopo tre anni di indagini, la Procura ha deciso che tutto quello che si sapeva forse non bastava. O forse non era abbastanza preciso. O forse qualcosa era sfuggito. Quindici punti di analisi scientifica per rispondere a una domanda che Trieste si pone da tre anni: chi ha ucciso Liliana Resinovich? Il cordino intorno al collo è arrivato da casa del marito? I coltelli sequestrati hanno tagliato qualcosa che non dovevano tagliare? Le scarpe di Lilly hanno calpestato il pavimento dell'officina di Visintin prima di finire nel bosco? La verità, se esiste, è scritta nel DNA, nelle fibre, nelle impronte digitali. La scienza non mente, non si contraddice, non cambia versione. Per questo la Procura ha deciso di affidarsi completamente a lei, mettendo da parte testimonianze e dichiarazioni per concentrarsi su quello che i reperti hanno da dire. Sebastiano Visintin, che per tre anni ha vissuto nell'ombra di questo sospetto, ora si trova davanti al momento della verità. Le analisi diranno se i cordini di casa sua sono gli stessi che hanno strangolato sua moglie, se i suoi coltelli hanno tagliato quelle corde, se le sue impronte sono sui sacchi che avvolgevano Liliana. La giustizia per Lilly Resinovich ricomincerà dai laboratori scientifici, dove tecnici in camice bianco cercheranno risposte che forse sono sempre state lì, nascoste in una fibra microscopica o in una goccia di DNA.

