E Liliana? È ancora al centro, ma sepolta tra troppi detti e non detti…
A 86 anni suonati, Claudio Sterpin non barcolla. Né per l’età, né per il caldo di giustizia che soffoca l’aula 290 del tribunale di Trieste. È lì, in giacca e cravatta, con lo stemma azzurro della nazionale di ultramaratona appuntato sul petto e la rosetta da commendatore a ricordare a tutti che la sua corsa – anche giudiziaria – non è finita. Fuori, prima dell’udienza, incrocia Sebastiano Visintin. Il marito di Liliana Resinovich. L’indagato per il suo omicidio. L’uomo con cui ha diviso, per un tempo troppo lungo, lo stesso amore. Bastano pochi secondi: i due si incrociano, si stuzzicano. Visintin, in bici e tuta sportiva, urla: «Rispetto per Liliana! Non dire che con le mani si possono fare tante cose». Allude a quella frase – ormai leggenda tra i cronisti di nera – in cui Sterpin parlava del loro amore fatto anche “con le mani”. Secca la replica: «Ha travisato le mie parole. Sta cercando di mettermi in bocca cose mai dette. Per queste sue parole c’è solo da sputargli in faccia». Alle 9.35 si apre l’incidente probatorio. A porte chiuse, davanti al gip Flavia Mangiante, Sterpin parla. E non smette più. Cinque ore ininterrotte di domande e risposte: prima il pm Ilaria Tozzi, poi gli avvocati dei familiari di Liliana, infine la difesa di Visintin. Nessun cedimento, nessun vuoto di memoria. Sterpin ribadisce, punto su punto, la sua verità.

Racconta un rapporto che parte da lontano, oltre quarant’anni fa. Un’amicizia “speciale” che nel 2021 torna a essere qualcosa di più. Racconta di telefonate, confidenze, progetti di vita insieme. Liliana, dice, gli parlava del rapporto con il marito. Di problemi, forse di crisi. E racconta anche di quell’ultima telefonata: le parole, i toni, le speranze. È su questa relazione che la Procura costruisce l’ipotesi di un movente: gelosia? Soldi? Una fuga d’amore interrotta con la morte? La verità giudiziaria resta tutta da scrivere. Quella mediatica, invece, è già un romanzo noir lungo tre anni. Di parole dette e ridette, di dichiarazioni che tornano come eco impazzite nei talk e nei salotti televisivi. Sterpin oggi non dice nulla di nuovo. Ma lo dice davanti alla legge, con coerenza. «Non posso entrare nel merito», dirà a fine udienza la procuratrice Patrizia Castaldini, «ma il racconto è stato assolutamente lineare». Tradotto: non ci sono colpi di scena, ma nemmeno contraddizioni. Un uomo ha parlato. Un altro lo ha ascoltato, forse inghiottendo veleno. E Liliana, ancora una volta, resta al centro. Non più come persona, ma come simbolo: di amori incompiuti, di gelosie mai risolte, di vite intrecciate nel punto più buio.

