“Mi sa che abbiamo incastrato Stasi”. È solo uno dei 280 messaggi inquietanti finiti sul tavolo della Procura di Pavia, impegnata a riaprire nuovamente il caso del delitto di Garlasco. A scriverlo, secondo chi li ha visionati, sarebbe stata Paola Cappa, cugina gemella di Stefania e cugina della vittima, Chiara Poggi. I messaggi, di cui parla il settimanale Giallo diretto da Albina Perri, sarebbero indirizzati a un amico di Milano, metterebbero in discussione e nero su bianco l’intero impianto accusatorio che ha portato, nel 2015, alla condanna di Alberto Stasi a sedici anni di reclusione in via definitiva per l’omicidio della fidanzata. Condanna, ricordiamo, arrivata dopo due assoluzioni nei primi gradi di giudizio. Poi la decisione della Cassazione. Eppure, questa volta, gli inquirenti sembrano intenzionati a fare davvero quello che nel 2007 il comandante dei carabinieri Franco Marchetto aveva suggerito più volte, ma invano: indagare a 360 gradi, anche tra i conoscenti più stretti. Le gemelle, ad esempio, furono ascoltate insieme alla madre. Raccontarono di essere rimaste a casa quella mattina, e Stefania aggiunse di essere andata in piscina verso mezzogiorno. Nessuno verificò l’esistenza di una bicicletta nera, nessun sequestro, nessun approfondimento. Ora, invece, ogni dettaglio viene riletto. A partire da un supertestimone anonimo che sostiene di aver visto Stefania in un posto dove non avrebbe dovuto trovarsi. Non solo, riemerge anche la dichiarazione di Marco Muschitta, ex operaio Asm, che raccontò di aver notato una ragazza bionda con occhiali scuri in sella a una bici nera, è un Suv scuro, proprio vicino via Pascoli e alla villetta dei Poggi, tra le 9.30 e le 10 di quel 13 agosto 2007. Poi ritrattò, dicendo di essersi inventato tutto. Ma in un’intercettazione successiva, parlando al telefono col padre, confessò quanto realmente accaduto: “Mi hanno chiesto di ritrattare”.


Quel Suv scuro fu segnalato anche dal commerciante Vignati: disse di averci visto la madre delle gemelle passare davanti al suo negozio tra le 8 e le 8.30. Le stranezze non finiscono. Come quel mazzo di fiori finti, un biglietto e una foto inquietante portati dalle gemelle davanti casa Poggi pochi giorni dopo il delitto. Nella foto, le tre cugine vestite di rosso. Ma la foto era un fotomontaggio: nessuno scatto delle tre insieme esiste davvero. C’era forse poca confidenza? E poi ci sono i social. Nel 2013, Paola pubblica una foto di piedi con calze a quadretti e in mezzo un’impronta a pallini, simile a quella trovata sulla scena del crimine, sul pigiama di Chiara. Accompagnata dalla frase: “Buon compleanno sorellina”. Più recente, invece, una storia Instagram di Stefania: un bambino tra biciclette e la scritta “Fruttolo”. Proprio come il Fruttolo rinvenuto in casa Poggi, ora sottoposto a nuove analisi per impronte e Dna. Non mancano neanche delle intercettazioni che lasciano l’amaro in bocca. Ancora. Paola, parlando con la nonna, sfoga la sua rabbia per l’ospitalità ai genitori di Chiara, costretti a vivere temporaneamente nella sua casa dopo il sequestro della villetta conseguente all’omicidio: “Odio gli zii, non li sopporto più… ci hanno rotto i c…oni, basta!”. C’è infine la testimonianza, mai approfondita, di Francesca, collega di Chiara: “Mi parlò di una festa in una villa con piscina, e di tensioni familiari. Una delle cugine era anoressica (Paola ndr), e la situazione pesava”. Ma Chiara non era una ragazza mondana. Chi l’aveva invitata a quella festa di fine luglio? Le cugine? Cosa accadde a quella festa, a poche settimane dal delitto? Tutte domande che ora tornano a bussare. E questa volta, forse, la speranza è che qualcuno risponderà.

