Andrea Sempio è in macchina. È il 2017. Parla da solo, non sa di essere intercettato. Dice: «Michele si è impiccato. Perché si è impiccato? Tutte le cazzate le abbiamo fatte insieme dai zero ai diciotto anni...». È una frase buttata lì. Ma fa rumore. Perché è il riassunto perfetto di un’indagine che, 18 anni dopo, resta senza un centro. Il delitto di Chiara Poggi torna sotto la lente. Non per nuove prove, ma per tutto quello che non è mai stato fatto. I tabulati telefonici di Andrea Sempio, oggi indagato. Quelli del fratello di Chiara, Marco Poggi. Quelli degli amici. Mai acquisiti. Eppure le celle telefoniche li registrano a Garlasco, la mattina del 13 agosto 2007. Ma nei verbali non c’è nulla. Nessuno chiede. Nessuno chiarisce. Così come resta un mistero il rapporto con le cugine Cappa. Stefania dice: “Ho chiamato Chiara il giorno prima”. Ma la chiamata non risulta. Dice anche: “Ci vedevamo quasi tutti i giorni”. Ma né i tabulati né le amicizie lo confermano. Anzi, molti non sapevano neppure chi fossero, le gemelle. Nel 2008, i carabinieri di Vigevano chiusero ogni dubbio: «Nessuna relazione morbosa, nessuna continuità».


Eppure qualcosa non torna. Perché mentire? Nel frattempo si riaprono anche i “non detti” nella relazione con Alberto Stasi. All’apparenza tutto liscio. Ma alcune colleghe di Milano parlano di un secondo cellulare, “piccolo e a conchiglia”. Altri di “intrallazzi” mai approfonditi. Tutto resta in sospeso, perché le indagini non seguono le voci. E poi c’è il Santuario della Bozzola. I genitori dicono: “Chiara non ci andava”. Ma testimoni giurano il contrario. E l’avvocato di Sempio, Massimo Lovati, rilancia con una teoria inquietante: Chiara avrebbe scoperto qualcosa. Qualcosa che non doveva sapere. Qualcosa che poteva costarle la vita. Michele Bertani, amico di Sempio, si toglie la vita e su Facebook scrive: «La verità non emergerà mai». Nessuno lo ha mai ascoltato davvero. Ma il sospetto rimane. Come quella frase…

