La storia è nota, ma nei dettagli c'è il diavolo. Andrea Sempio, amico di Chiara Poggi, viene intercettato nel 2017 nell’ambito di un’indagine parallela a quella che ha portato alla condanna definitiva di Alberto Stasi per l’omicidio della ragazza, trovata morta il 13 agosto 2007 nella sua villetta di Garlasco, in provincia di Pavia. All’epoca il nome di Sempio desta solo un fugace interesse: il procuratore aggiunto Mario Venditti e la pm Giulia Pezzino decidono di seguire la pista, ma l’indagine dura appena quindici giorni. Nessuna perquisizione, nessuna nuova comparazione del Dna di Sempio con quello rinvenuto sotto le unghie di Chiara. Solo una manciata di verbali, poco altro. Ci sono poi le intercettazioni ambientali su Sempio, trascritte e firmate dal luogotenente Silvio Sapone. Ma molte di quelle trascrizioni, oggi, si rivelano imprecise. Frasi chiave trascritte male, parole omesse, sensi ribaltati. Cosa è andato storto? Repubblica esamina la registrazione ambientale n.84, che riguarda i minuti successivi all’interrogatorio di Sempio: nel brogliaccio si legge che l’indagato parla di “domande che non pensava gli facessero”, a cui non ha dato “una risposta perfetta”. Ma all’ascolto integrale, il senso è diverso: Sempio dice che ha capito perché quelle domande gli sono state fatte, anche se ammette di non aver risposto al meglio. Altro che sorpresa o confusione come si pensava all’inizio: sarebbe consapevole, lucido. Ancora più netto è il passaggio in cui si sente dire che i magistrati erano “abbastanza dalla nostra parte”. Una frase trascritta senza il “dalla”, che ne stravolge l’interpretazione. Ma la frase più enigmatica e suscettibile di interpretazioni riguarda quanto detto da Sempio a bassa voce, sulla sua Suzuki: “Anche loro c’hanno voglia di finirla in fretta”?

Il contesto è tutto. Quella frase non suona come un semplice sfogo. Piuttosto una lettura della situazione, un’impressione maturata da chi ha appena avuto a che fare con due magistrati della Repubblica. “Finirla in fretta” potrebbe voler dire che gli inquirenti, dopo anni di polemiche, pressioni, sentenze ribaltate e una Cassazione che ha messo la parola fine sul nome di Stasi, vogliono archiviare ogni altra pista nel minor tempo possibile. Per stanchezza, per esaurimento istituzionale, per malafede? Non ci è dato saperlo. In quell’espressione di Sempio si coglie una sottile consapevolezza: il sistema ha già scelto dove guardare — e dove no. Il punto, oggi, è proprio questo. Perché i nuovi vertici della Procura di Pavia, guidati da Fabio Napoleone e dall’aggiunto Stefano Civardi, hanno riaperto i faldoni. Dopo l’ascolto integrale di 806 file audio da parte dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, emerge un quadro disturbante: un’indagine condotta con il freno a mano tirato. Non solo le frasi di Sempio vengono depotenziate, ma i suoi sfoghi più intimi, come quelli sulla morte dell’amico Michele Bertani, vengono ridotti a poche righe tecniche: “Che cazzo ti impicchi a fare... porca troia”, sbotta Sempio parlando da solo, ricordando l’amico d’infanzia suicidatosi nel 2016. È un monologo pieno di rabbia e dolore, un frammento umano, potenzialmente prezioso per chi indaga sul suo stato d’animo, sui suoi contatti, sul suo passato. Ma nelle trascrizioni si riduce tutto a: “parla di un amico suicida”. Taglia, incolla e archivia.

C’è poi un altro passaggio che oggi fa alzare più di un sopracciglio. Il 21 febbraio 2017, Andrea Sempio dice: “Tizzoni dice che è in fase d’archivio”, riferendosi all’avvocato della famiglia Poggi. Una frase che, se fosse confermata, suggerisce un flusso di informazioni confidenziali tra le parti, o almeno la percezione da parte dell’indagato che qualcuno gli stia “soffiando” notizie. In un’altra registrazione parla di “vie non ufficiose”. C’erano davvero voci di corridoio che lo rassicuravano? O è tutto nella sua testa? Difficile dirlo. Ma ancora più difficile accettare che nessuno abbia voluto chiarirlo allora. Oggi il rischio è che tutto venga bollato come “errore tecnico”, una svista burocratica. Ma a ben vedere, questi errori si sommano sempre nella stessa direzione: verso l’archiviazione, verso il silenzio. Una coincidenza? Forse. O forse no. Il vero problema non è Sempio, ma quello che la sua vicenda racconta del nostro sistema giudiziario quando si stanca di cercare.