Belloccio, preparato, misurato e, adesso, pure famoso. Con quell’aria da dandy nostalgico che fa la sua figura anche dentro i tribunali dove il capello bianco, curato e un po’ all’indietro riesce quasi a abbinarsi per contrasto con la crudezza degli argomenti di cui si discute nelle aule del penale. L’avvocato Antonio De Rensis, il legale di Alberto Stasi, è diventato nel giro di poco una delle star della tv da quando l’argomento degli argomenti di ogni palinsesto è l’indagine, o le indagini, sull’omicidio di Chiara Poggi. Solo che, come tutte le star, adesso gli è toccato fare i conti pure con il gossip. E con Fabrizio Corona. Insomma, è come se la prima volta che guidi una macchina ti ritrovi nel bel mezzo della griglia di partenza di una gara di Formula 1. Perché questa metafora? Perché, lasciando da parte tutte le cose serie sul delitto di Garlasco (di cui si dovrebbe discutere nelle sedi opportune), il buon De Rensis, l’altra sera, ha dovuto partecipare a un trofeo di velocità che non ha mai risparmiato nessuno. O, meglio, nessuno che abbia un partner (comprensibilmente) inca*zatissimo a casa.

Il legale di Alberto Stasi, come visto a “Lo stato delle cose” e ampiamente raccontato poi da ogni testata, ha abbandonato lo studio di Massimo Giletti nel bel mezzo della puntata, senza stare a dare troppe spiegazioni, congedandosi con quell’eleganza che ha lui e lasciando un po’ tutti nel mistero. E innescando anche il solito rincorrersi di ipotesi tra chi ha buttato là motivazioni di ogni tipo e profeti della verità che hanno sentenziato che, semplicemente, non volesse alcun confronto con l’avvocato Massimo Lovati ora che non è più il difensore di Andrea Sempio e che, quindi, non ha più un vero ruolo, e un titolo, in tutto ciò che riguarda il dibattito sull’omicidio di Chiara Poggi. Solo che nessuna di queste motivazioni, per quanto argomentate e, tutto sommato, pure credibili, sono state convincenti per chi, col taglio irriverente e ca*acaz*i di MOW, è cresciuto all’ombra di un maestro cronista di provincia che gli ripeteva sempre “occhio ragazzino, a volte la verità sta per terra, esattamente dove i maiali trovano la ghianda”.
E’ esattamente lì, per terra, che siamo andati a guardare e tutto s’è fatto abbastanza chiaro: Antonio De Rensis aveva appena ricevuto lo start del “trofeo dobbiamo parlare”, la corsa a cui nessun marito potrà mai sottrarsi. Sì, perché proprio mentre De Rensis era in trasmissione con Massimo Giletti, su Youtube era stato da pochissimo pubblicato l’episodio di Falsissimo in cui Fabrizio Corona, insieme a Massimo Lovati, spende parole non proprio di stima e complimenti per il legale di Alberto Stasi. Ok, fin qui niente di nuovo, visto che in molti (noi compresi, all’inizio) hanno ipotizzato che c’entrassero proprio i contenuti di Falsissimo con quell’uscita di scena a sorpresa. Il punto, però, è che i contenuti non sono quelli che in principio hanno creduto tutti - ossia i passaggi sulla professionalità di De Rensis, sulla sua preparazione, sul suo ruolo , ecc… - ma un altro. Quello in cui si arriva a dire che l’elegante avvocato di Stasi, insieme a Brindisi, è solito partecipare a cene che poi si trasformano in scappatelle da fedrifraghi paganti impenitenti.

Niente, sia inteso, che possa far paura davvero a un De Rensis che sicuramente saprà difendersi, ammesso che ritenga possa essercene bisogno. Il punto, però, è che De Rensis, prima ancora che un avvocato ormai star, è pure un marito. E, come tutti noi, probabilmente scatta sull’attenti quando suona la sveglia da casa. Pare, e diciamo “pare” perché il condizionale è sempre elegante quasi quanto De Rensis, che lo smartphone del legale di Alberto Stasi si sia illuminato, mostrando la notifica di un messaggio di sua figlia che lo avvisava di quanto la mamma (quindi la moglie) fosse arrabbiata proprio per il caos che nel frattempo s’era innescato per quel passaggio – quello delle cene e solo quello – del video di Fabrizio Corona. Signori, De Rensis – ammesso che sia andata così e sperando ci perdoni il taglio satirico – ha tutta la nostra comprensione. Perché ok tutto, ma la famiglia è la famiglia. E ok anche essere abituati a difendere assassini o innocenti fatti passare per assassini, ma quando c’è da difendere se stessi, soprattutto su questioni privatissime, la contumacia non è contemplata. Anzi, abbiamo pure sperato che avesse un’auto velocissima, perché in ogni “trofeo dobbiamo parlare” che è toccato una volta nella vita a ogni marito (chi non c’è ancora passato cominci a allenarsi), l’auto veloce, o comunque un mezzo velocissimo, che permetta di arrivare a casa in fretta, serve più di qualsiasi altro talento esercitato su qualunque manuale dell’arringa perfetta della migliore facoltà di Legge del mondo. Il “trofeo dobbiamo parlare” non è solo una corsa, è un pellegrinaggio emotivo a velocità da piloti veri nel bel mezzo di una tempesta di autoriflessioni. Cos’ho fatto? Sono sicuro di non aver fatto niente. Cos’ho dimenticato? Ora che dico? Ma perché quei due hanno dovuto inventare certe cose su di me? Non bastava spararmi addosso come professionista? Ora come la imposto per calmare le acque così da poter essere realmente ascoltato? Ogni chilometro è un esame di coscienza, ogni semaforo rosso una condanna divina, ogni ciclista che non si sposta una tentazione a farla ancora più grossa così che tutto passi in secondo piano. Ammettetelo: sapete cosa si prova nel bel mezzo del “trofeo dobbiamo parlare”!
Sì, abbiamo provato empatia per De Rensis che guida verso casa, appena fuori dagli studi Rai, provando a entrare in modalità “diplomatico ONU” - toni bassi, occhi dolci, mani sudate – magari a chiedersi se tentare la carta dell’umorismo o partire subito attaccando quei due del video e giocando pure a fare gli offesi solo per essersi ritrovati nelle condizioni di spiegare qualcosa che, se ci fosse fiducia davvero, non si dovrebbe neanche spiegare. Ma sapendo, contestualmente, che l’umorismo fallisce sempre, la strategia della memoria selettiva è dannatamente rischiosa, attaccare è da non empatici, il ricorso al pentimento spontaneo è da colpevoli e che l’obiettivo, subito dopo un “trofeo dobbiamo parlare”, può non essere avere ragione immediatamente, ma anche solo sopravvivere in un processo da un’udienza sola in cui non sei più l’avvocato di qualcuno, ma il tuo. E contestualmente sei pure imputato, giudice e boia di te stesso. Insomma, quando ti chiamano al “trofeo dobbiamo parlare” non sei più il brillante professionista – neanche se ti chiami Antonio De Rensis – la star dei palinsesti, l’amico spavaldo al bar, il leader carismatico del gruppo delle cene tra amici. Diventi un pulcino bagnato, spaesato, pronto a lasciare tutto – compresa mamma Rai nel bel mezzo di una trasmissione - per catapultarti in macchina con la stessa fretta di un Verstappen qualsiasi, mentre, tra l’altro, il GPS mentale ti si azzera per colpa di un Fabrizio Corona che potrebbe aver scatenato un terremoto oltre i 6.0 della scala coniugale. Che poi oh, noi l'abbiamo buttata a ridere, ma magari è semplicemente corso a casa non a spiegare, ma a stare vicino a chi gli sta vicino ogni giorno (e che s'è ritrovato schizzato senza volerlo di quella sostanza in cui ormai nuota tutto ciò che riguarda Garlasco fuori dalle sedi opportune) in un momento così e dopo dichiarazioni come quelle contenute nell'episodio di Corona.