I RIS rilevano tracce biologiche, ma gli slip spariscono e non verranno mai repertati. Perché? A diciotto dall’omicidio di Chiara Poggi dettagli ancora inspiegabili tornano a far rumore. E con le nuove indagini gli inquirenti potrebbero finalmente chiedersi cosa ci facevano davvero lì quegli slip…
Diciotto anni dopo, il delitto di Garlasco continua a scricchiolare sotto il peso dei suoi misteri. Una casa tranquilla, una ragazza di 26 anni massacrata in pieno giorno, un processo che ha portato alla condanna del fidanzato Alberto Stasi, eppure i dettagli, quelli veri, quelli sporchi, quelli mai puliti con il detergente della verità, restano lì, inascoltati. Su Giallo, il settimanale diretto da Albina Perri, il giornalista Gianluca Zanella punta il dito su uno di quei dettagli: una busta. Una comunissima busta di plastica di una nota catena di abbigliamento, fotografata al centro della scena del crimine. Dentro, quattro slip da donna, usati. Sì, usati. Con tracce biologiche rilevate con il crimescope dai RIS. Eppure, mai analizzati. Mai sequestrati. Mai davvero considerati prove. Molto probabilmente rimasti nella casa dei Poggi. Forse buttati. Forse dimenticati. Forse ignorati, proprio come quel sacchetto lasciato vicino al divano, dove Chiara aveva appena acceso il computer prima di essere brutalmente uccisa. Nel bagno al piano superiore, quello che gli investigatori, allora, hanno appena sfiorato, c’erano altri slip: uno nel lavandino, uno sul bordo della vasca. Normale disordine? Forse. Ma allora, che senso ha quella busta al piano di sotto? “È difficile immaginare Chiara trasferire della biancheria intima sporca dal piano superiore alla cantina passando per il soggiorno, dentro una busta di plastica”, scrive Zanella. E ha ragione. La lavanderia era in cantina. Ma quella busta non ci è mai arrivata. È rimasta lì, a metà strada tra il caos e l'oblio.


La criminologa Cristina Brondoni, sempre su Giallo, rincara la dose: “Un reperto, per essere considerato tale, va trattato da reperto”. Invece quegli slip sono stati estratti dal sacchetto, appoggiati sul divano, fotografati. Così, come se nulla fosse. “Il sacchetto avrebbe dovuto essere imbustato così com’era. Conteneva sicuramente materiale biologico. Trattarlo sul posto ha significato contaminarlo. E contaminarne il contesto.” Secondo la Brondoni, ogni slip avrebbe dovuto essere repertato singolarmente, in laboratorio. “Il principio di Locard, ogni contatto lascia una traccia, è stato ignorato. Ciò che c’era sugli slip è finito sul divano e viceversa.” Domande? Tante. Perché mettere della biancheria usata in un sacchetto? Doveva essere lavata? Buttata? O qualcuno l’ha portata lì, intenzionalmente? È un messaggio lasciato da chi ha ucciso Chiara? E da chi? Ora che la Procura di Pavia, con a capo il procuratore Fabio Napoleone, ha riaperto il caso, anche questo dettaglio potrebbe finire sotto la lente. E magari da lì, da quattro slip dimenticati in una busta, potrebbe partire una nuova verità.

