Roberta Bruzzone smonta l’ipotesi dell’ultima chiamata. Nessun complotto, nessun complice, solo Alberto Stasi. E anche per cambiare idea, la giustizia ha un suo ordine. Prima la revisione, poi – forse – un’altra verità…
Chiara Poggi non ha mai preso in mano la cornetta del telefono. Non ce l’aveva mentre moriva, non l’ha sollevata, non ha provato a chiamare nessuno. A dirlo è Roberta Bruzzone, criminologa, che ha commentato in modo netto le nuove speculazioni sul caso di Garlasco. Una dichiarazione che suona come una doccia fredda per chi sperava in una riapertura dell’indagine da un dettaglio tecnico. Perché il dettaglio, in realtà, racconta tutt’altro. «Non è possibile. Se fosse stata davanti al telefono con la cornetta in mano – ha spiegato la Bruzzone – avremmo avuto un pattern di distribuzione di tracce ematiche completamente diverso». Il sangue, in questi casi, non mente mai. La scena racconta una storia precisa: «Abbiamo un pattern che ha preso il muro e una porzione del telefono. Una sola singola traccia ematica – specifica – perché le altre due sulla parte superiore non sono assolutamente tracce di sangue. L’unica è sulla porzione mediana, esattamente in corrispondenza dell’interstizio tra la cornetta e la sua sede». E qui arriva la parte più tecnica, ma anche più chiara per chi sa leggere la scena del crimine come una mappa. «È una delle tracce perfettamente compatibili con il pattern che stiamo osservando. Per il tipo di angolo d’impatto, chiaramente generato nella traiettoria in volo dopo aver lasciato la vittima, si è collocata in quel punto. Tutto il resto ha investito il telefono in modo coerente. La cornetta era certamente appoggiata nella sua sede al momento dell’impatto».


Chiara era vicino al telefono, sì. Ma non stava chiamando nessuno. «Non escludo che possa avere avuto l’intenzione di chiedere aiuto – concede la Bruzzone – ma certamente non ha interagito col telefono, non aveva la cornetta in mano». Poi, il cambio di tono. Dal sangue al diritto. Dalle gocce sulla plastica all’elefante nella stanza: l’eventualità che Alberto Stasi non sia l’unico colpevole. O che, addirittura, non lo sia affatto. Ma la Bruzzone taglia corto anche qui: «C’è una condanna per un soggetto che ha agito singolarmente, e che è stato condannato come soggetto singolo. Nessuno ha mai ipotizzato in diciotto anni un concorso. Non è mai esistita un’ipotesi che collocasse altri soggetti unitamente a Stasi». E se domani dovessero emergere altri elementi? Il percorso, anche in quel caso, sarebbe chiaro, ma non immediato. «La procedura corretta è un’altra: passare dalla revisione di Stasi, ottenere eventualmente il suo proscioglimento in quella sede, e solo a quel punto si potrà riaprire un’eventuale inchiesta su altri soggetti. Ma adesso è un problema non da poco, dal punto di vista giuridico. In questo caso abbiamo una sentenza definitiva». Una porta socchiusa, ma con la chiave ancora lontana.

