Intanto i carabinieri scavano nel passato di Andrea Sempio, e il delitto di Garlasco resta un incubo sospeso tra verità parziali e domande irrisolte…
La porta del carcere si apre un po’ di più per Alberto Stasi, oggi in semilibertà, ma le ombre sul delitto di Garlasco – quello per cui è stato condannato a 16 anni – restano fitte. Nonostante una detenzione modello, con lavoro esterno, permessi premio e un risarcimento che, a rate, sta andando alla famiglia Poggi, è proprio il Tribunale di Sorveglianza a dire che qualcosa non tornerebbe. In una relazione del febbraio scorso, emersa solo ora grazie all’ultimo provvedimento della Sorveglianza, si parla di una "ossessiva visione e catalogazione di materiale pornografico", anche violento e disturbante. E non è un dettaglio. Per i giudici potrebbe essere stato “il movente o quanto meno l’occasione del delitto”. Un abisso psicologico che, a distanza di quasi vent’anni, continua a inquietare. “Colpisce anche come, nella valutazione dell’empatia ed emotività, non vi siano accenni a quanto provato nei confronti dei genitori e parenti della vittima”, si legge nella relazione. Nessun cenno alla rabbia, al dolore, alla gestione emotiva. Solo freddezza. E una dipendenza digitale che non si è mai spenta.


Perché sì, i famosi diecimila file pornografici – quelli scoperti nonostante il pasticcio degli inquirenti dell’epoca sui computer – c’erano davvero. Organizzati con cura maniacale, alcuni esplicitamente violenti. E da allora, pare, le abitudini di Stasi non sono cambiate granché. L’ossessione sarebbe rimasta. Lo psicologo del carcere, chiamato a pronunciarsi sul punto, parla di “tratti di una possibile parafilia”, ma si ferma prima di una diagnosi vera e propria. In altre parole: qualcosa c’è, ma non abbastanza per bollarlo come disturbo clinico. Nel frattempo, a Vigevano, i carabinieri del Racis scavano nella vita di un altro uomo, Andrea Sempio. A casa sua e dei suoi genitori, un paio di settimane fa, hanno sequestrato appunti, materiale personale, scritti. Stanno cercando un profilo psicologico, forse un movente. E se tutto questo suona familiare, è perché lo è. Stasi e Chiara si scambiavano video intimi. Tre sono finiti agli atti dei processi. Uno, racconta il settimanale Giallo, sarebbe stato visto da Marco Poggi sul pc della ragazza, lo stesso su cui giocava con gli amici ai videogiochi. È un déjà vu che pesa come un macigno: file nascosti male nel computer, amici troppo vicini. Ma vent’anni dopo, con Chiara sempre più assente e i fantasmi sempre presenti, il caso di Garlasco continua a tormentarci con la stessa domanda: chi è davvero il mostro?

