C’è un aspetto irrisolto nel giallo di Garlasco e riguarda un nodo mai sciolto nemmeno dalla versione ufficiale: l’arma del delitto. Nonostante la condanna definitiva a 16 anni per Alberto Stasi, ritenuto colpevole dell’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, restano vuoti pesanti nella ricostruzione. Il primo, e più clamoroso, è proprio questo: nessuno, ancora oggi, sa quale sia stata l’arma usata per uccidere la ragazza nella villetta di via Pascoli la mattina del 13 agosto 2007.
La nuova inchiesta aperta dalla Procura di Pavia, che ora indaga su Andrea Sempio, rilancia le ombre mai dissipate. L’aggressione e la morte di Chiara, secondo quanto stabilito in sentenza, avvennero in una finestra temporale ristretta: tra le 9.12 e le 9.35. Ma l’arma? «Non è mai stata trovata, né mai identificata», come ammettono gli stessi atti processuali.
Sul luogo del delitto, nessuna traccia dell’oggetto usato. I rilievi iniziali si concentrano su alcuni oggetti potenzialmente compatibili. Il medico legale Marco Ballardini individuò come causa del decesso le «lesioni contusive cranio-cefaliche», ma le ferite sul corpo di Chiara risultarono eterogenee. In un primo momento, su indicazione dei consulenti della Procura, si ipotizzò l’uso di un paio di «forbici da sarto». Ma la tipologia di colpo alla testa spinse gli investigatori verso un’altra possibilità: un martello da muratore.
Nella sentenza d’appello del 6 dicembre 2011 si legge che lo strumento doveva avere «una stretta superficie battente, con una punta impiegabile di per sé e probabilmente di natura metallica». Un anno dopo, il padre di Chiara segnalò la scomparsa di un «martello a coda di rondine», usato per rompere bancali. Ma nessuna prova portò a una conferma definitiva.
Il mistero, nel tempo, si è arricchito di nuove ipotesi. Una telefonata anonima suggerì che l’arma potesse essere un ferro da stiro. Poi emerse una nuova pista, basata sulle parole di Marco Muschitta — poi ritrattate — che descriveva una donna, Stefania Cappa, allontanarsi in bicicletta con un oggetto voluminoso in mano. Da qui nacque la teoria dell’attizzatoio da camino. È proprio sulla base di questa testimonianza che il 14 maggio scorso i carabinieri hanno perlustrato un tratto del canale di Tromello.

Nel corso della perlustrazione sono stati ritrovati oggetti potenzialmente compatibili con l’arma del delitto: una pinza da camino, la testa di un martello e due accette. Tutti saranno sottoposti ad accertamenti tecnici. Al momento, non c’è alcuna certezza che possano essere collegati al delitto, ma l’interesse degli inquirenti è massimo.
Un passaggio della consulenza sulle cause della morte lascia aperta una possibilità suggestiva: «Ove non si voglia ipotizzare l’impiego di più strumenti…». È una strada che la rilettura investigativa odierna non scarta. Alcune ferite sembrano difficili da attribuire a un solo oggetto. In particolare, i tagli alle palpebre — scriveva il dottor Ballardini — richiamano «un’arma con filo piuttosto tagliente» o con «punta acuminata». La lesione alla mascella destra, inoltre, presenta «caratteri di alterazioni tipo punta e taglio che non contusive».
La nuova ipotesi è che l’assassino abbia usato due oggetti distinti: uno pesante, con cui colpì Chiara alla testa, e un altro da taglio, utilizzato per infliggere ferite più precise.
Nel frattempo, in attesa dell’incidente probatorio fissato per il 17 giugno, gli inquirenti stanno riesaminando 806 file audio: si tratta di intercettazioni ambientali registrate in auto nel febbraio 2017, quando Andrea Sempio era indagato in un fascicolo poi archiviato. Da allora, però, alcuni elementi sono tornati al centro della discussione, come le telefonate a casa Poggi e un biglietto sanitario (ticket) registrato il giorno dell’omicidio.
Un «appunto» della Procura generale di Milano all’epoca liquidava questi elementi come «informazioni già vagliate e giudicate del tutto irrilevanti», «prive di ogni collegamento con le risultanze processuali». Oggi, però, tutto viene riletto con occhi nuovi.
