Diciotto anni dopo, Garlasco torna a tremare. Non per una nuova sentenza, ma per una roggia. Un piccolo canale in via Fante d’Italia, a Tromello, a due passi dalla casa della nonna delle gemelle Cappa. Proprio lì, secondo una nuova testimonianza rilanciata da Le Iene, sarebbe finita l’arma del delitto di Chiara Poggi. Un oggetto metallico pesante, gettato nell’acqua da una donna – presuntamente Stefania Cappa, cugina della vittima, mai indagata – sotto gli occhi di un uomo che ora ha deciso di parlare. I vigili del fuoco, su ordine della procura di Pavia, dragheranno il corso d’acqua. Un controllo che, incredibilmente, non era mai stato effettuato durante le indagini iniziali. E oggi, nel 2025, con Alberto Stasi in carcere da nove anni, si torna a scavare. Letteralmente. A dare nuova vita all’inchiesta è anche un altro nome, già sentito ma mai davvero ascoltato: Marco Muschitta, un operaio. Raccontò di aver visto Stefania Cappa allontanarsi in bicicletta da via Pascoli con in mano un oggetto che sembrava un attizzatoio. Poi ritrattò tutto, dicendo di essersi inventato la storia. Ma in un’intercettazione con il padre ammise di aver detto la verità, e di aver ritrattato solo perché – così suggerì – i carabinieri gli consigliarono di farlo.


Adesso, quei carabinieri non ci sono più. E gli inquirenti di Milano hanno deciso di risentirlo, stavolta prendendolo sul serio. Perché forse, tra le parole confuse e i ricordi sbilenchi, c’è qualcosa che può cambiare tutto. O almeno spiegare ciò che per anni è rimasto sospeso: cosa ci facevano davvero le gemelle Cappa in quella casa, cosa volevano dimostrare con quel fotomontaggio esibito sotto casa della cugina morta, e perché il loro nome torna sempre, come un’eco. La roggia sarà dragata. Si troverà qualcosa? Probabilmente no. Ma dopo diciotto anni, forse l’Italia ha bisogno che almeno si ricominci a cercare.

