L’elemento dominante dell’omicidio di Chiara Poggi è che nessuna delle procedure da seguire è stata assolta. Di fronte ad un omicidio, a differenza di quello che sembrerebbe ascoltando le dichiarazioni di questi giorni, ogni operatore è obbligato ad ottemperare a precise indicazioni. Se questo non avviene, non si tratta di errore o superficialità, ma di precisa volontà. Dai magistrati fino all’ultimo degli inquirenti, troppi non hanno reso onore al proprio ruolo. La polizia scientifica, tra le altre cose, sul cadavere di Chiara Poggi non rileva le impronte digitali, il primo compito da assolvere; nessuno si renderà conto di questo “piccolo” particolare per giorni, tanto da dover riesumare il cadavere. L’inchiesta vive di una comica approssimazione: tracce non valutate, reperti lasciati a marcire, Dna non analizzato, scena del crimine dove si entra ed esce a piacimento compreso un gatto, ignoramento dei ruoli dei Cappa ed affiliati nonostante intercettazioni di una trasparenza imbarazzante. Sempio viene omaggiato di un alibi dando valore ad uno scontrino di un parcheggio senza nome né targa. Vengono tutti esclusi dalle indagini tranne la persona con meno peso sociale: Alberto Stasi. Stasi è assolto in primo e secondo grado, cosa che lo rassicura. Il dubbio è se Stasi si stia difendendo o stia recitando una parte comandata da qualcuno con minacce reali ma anche rassicurazioni di una assoluzione salvifica per tutti. La Suprema Corte di Cassazione, però, spesso il porto delle nebbie, lo condanna. Insomma, nessuno ci aveva capito niente, ma lo avevano capito loro: Alberto, in sfregio all’oltre ogni ragionevole dubbio, è il solo colpevole. Senza un movente e una prova certa, ma con le giuste misure per riempire la casella del responsabile. Fosse stato condannato nei gradi precedenti di giudizio si sarebbe potuto difendere meglio ed evidenziare le assurdità di una indagine infarcita di influenze oscure, di opere errate e di studiate omissioni. Forse si sarebbe potuto ribellare e rinegoziare il suo ruolo. Il verdetto dell’ultima tappa è la condanna perfetta, il gol all’ultimo secondo, dopo di che l’arbitro fischia e non hai neanche il tempo di portare il pallone a centrocampo. Non resta che la richiesta della revisione del processo, che viene regolarmente rigettata. I medici entrano, anche loro, come cause che portano a questo caos generale.

I medici legali che partecipano, in vari ruoli, a questa vicenda compiono imbarazzanti inesattezze: non viene pesato il cadavere, si annotano le temperature in ambienti errati, si danno ipotesi fantasiose sull’ora della morte, non si tiene in considerazione il rigor mortis. Non si cristallizzano le lesioni per risalire all’arma del delitto che è prima una forbice, poi un attizzatoio, subito dopo un utensile da giardino, quindi un martello fino al vaso di lega dell’abitazione della vittima. Eppure, le lesioni del corpo e soprattutto del cranio di Chiara sono note e chiare. I professionisti si rinfacciano a vicenda leggerezze e preconcetti. Un medico se non svolge la professione in maniera corretta deve essere segnalato alla Procura; comportamenti errati e/o omissioni dopano gli avvenimenti e condizionano il destino di innocenti e colpevoli. Un medico genetista sui media, il dottor Marzio Capra, consulente della famiglia Poggi, afferma che il delitto di Chiara presenta errori gravi e no, come però del resto centinaia di delitti a cui ha partecipato come esperto. Se l’omicidio avviene ad agosto ed in provincia gli inquirenti saranno poco competenti, i guanti andrebbero cambiati ad ogni rilevazione ma non si fa. Parla di medici legali che refertano male, di incapacità e poca attenzione di chi deve fotografare, di armi del delitto che vengono cestinate, di luoghi del delitto ripuliti prima dell’arrivo della scientifica. A chi gli fa notare la pericolosità del messaggio e delle cose che afferma, rivendica con forza il coraggio di dire questa verità. Agghiacciante, la leggerezza e l’arrendevolezza con cui lo comunica. Se avesse ragione vorrebbe dire che nel giudizio di colpevolezza ed innocenza ha un peso notevole la fortuna ed il caso e che l’oltre ogni ragionevole dubbio è alla stregua di uno spot. Inoltre, detto da un medico che ha avuto ruoli in procedimenti importanti, tra gli altri anche nel processo sull’omicidio di Yara con condanna di Bossetti, lascia impietriti. Un medico deve prima di tutto denunciare e non certo nei media ma ai magistrati, se è testimone di tali errori indicando gli autori; un medico per deontologia non può accettare di essere parte di procedimenti che per sua stessa ammissione sono frequentemente alterati da errori ma anche da noncuranza delle procedure. In questa rubrica voglio parlare del ruolo dei medici nella società, di diritti e doveri, di grandi uomini ma anche di criminali. Voglio parlarvi, soprattutto, della follia in camice bianco.

