A quanto pare dopo l’omicidio di Sharon Verzeni e l’arresto, Moussa Sangare, l’assassino della trentatreenne, avrebbe uno stato mentale integro. Motivo? Tutta la serie di accorgimenti assunti dopo l’omicidio per nascondere le tracce che portavano dritto a lui. Per questo la gip di Bergamo, Raffaella Mascarino, ha disposto il carcere: “Se pure le motivazioni addotte dall’indagato in ordine alla spinta che ha portato a commettere il fatto di sangue può destare qualche perplessità in ordine al suo stato mentale nel momento di compiere l’omicidio però la lucidità mostrata nell’adottare tutta una serie di accorgimenti sia nei momenti precedenti al delitto, e anche gli accorgimenti dei giorni seguenti evidenziano uno stato mentale pienamente integro”. Sangare, al momento della confessione, aveva dichiarato di aver agito senza essere spinto da nessun movente in particolare: “Non so perché l’ho fatto”. E sul coltello usato come arma del delitto: “Non l’ho buttato nel fiume perché ho pensato che avrei potuto trovarlo ancora lì. Volevo tenerlo per avere memoria di quello che avevo fatto. Come un ricordo”. Un ricordo? No, un trofeo dell’omicidio commesso. Del resto il desiderio di rivivere l’atto criminale, grazie a dei “souvenir”, è un tratto che accumuna molti assassini.
Moussa Sangare non si è svegliato una mattina con tutta questa rabbia interiore che non sapeva verso dove o chi indirizzare. I racconti della sorella Awa, vittima anche lei della violenza del fratello insieme alla madre, parlano chiaro: “Forse se ci avessero ascoltate Sharon sarebbe ancora viva”. Ma le denunce, così come le richieste d’aiuto, sono tutte cadute nel vuoto. “Ho avuto paura di morire anche io. Mio fratello ha tentato di uccidermi. Quello che ha fatto a Sharon poteva succedere a me. Ne sono convinta. È stata un’escalation. Io e mia madre Kadiatou abbiamo fatto di tutto per aiutarlo. Non volevamo credere a quello che ha confessato. Con mamma siamo scoppiate in lacrime. Il nostro pensiero va a Sharon e alla sua famiglia”. Tre le denunce verso Moussa: “La prima nel 2023, l’ultima a maggio. Danneggiamenti, violenza domestica, maltrattamenti. Eravamo in pericolo. Nessuno si è mosso. Il 9 maggio scorso mi ha puntato contro un coltello, prendendomi alle spalle. Ero in cucina, ascoltavo musica con le cuffie. È scattato il codice rosso e il suo allontanamento. Abbiamo scoperto che aveva occupato la casa al piano terra. Abbiamo chiesto aiuto ai servizi sociali e al sindaco. Siamo state lasciate sole”. Un omicidio, quello di Sharon che, stando alle parole della sorella di Moussa Sangare, poteva essere evitato…